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Brics: davvero vogliamo ridurlo a “noi e loro”?

di: Massimo Zaurrini | 21 Novembre 2024

Per circostanze particolari in queste settimane mi è capitato di ritrovarmi a seguire con maggiore frequenza del solito alcuni talk televisivi sulle varie reti nazionali. Resto sempre ammirato dalla capacità di molti bravi colleghi di approfondire con tanta dedizione l’ultimo starnuto o prurito politico (si fa per dire, ovviamente) su questo o quel caso di cronaca nera. Negli ultimi anni, poi, la cronaca e la politica internazionale si sono inserite nelle scalette di queste trasmissioni con sempre maggiore frequenza, aggiungendo alla lista di commenti illuminanti anche riflessioni su temi come la strategia militare o la geopolitica internazionale. La mia ammirazione è cresciuta ulteriormente per quegli colleghi che, baldanzosi, non si lasciano sfuggire l’occasione di dire ogni giorno la propria biblica verità su sviluppi internazionali che mai ti saresti aspettato rientrassero nelle loro competenze.

Questo panegirico, oltre al consentire di togliermi qualche sassolino, mi porta al punto in cui volevo arrivare. C’è un tratto comune a queste discussioni televisive e (ahimé) al confronto politico, anche mediato dai social media: la puerile classificazione del “noi e loro”. In questa fine di ottobre, complice il fatto che il suo ultimo vertice si è tenuto a Kazan, in Russia, è finito nelle nostre trasmissioni anche l’argomento Brics. E le novità epocali in discussione sono state derubricate al “noi” e “loro”.

L’organizzazione, nata 15 anni fa, riunisce un gruppo di Paesi che dai quattro originali fondatori (Brasile, Russia, India, Cina) si è allargata poco dopo al Sudafrica (guadagnandoci la “s” finale) e poi a Iran, Egitto, Etiopia ed Emirati, che quest’anno hanno partecipato al vertice come Stati membri. Tuttavia, la stimolante complessità di un fenomeno in divenire e il suo ‘dirompente’ inserimento in uno status quo paludato vengono ridotti al confronto tra “mondo democratico e mondo autocratico”.

Dal momento che parallelamente, per interessi e lavoro, mi sono ritrovato a studiare e comprendere attraverso interviste e dichiarazioni, editoriali e conversazioni, come gli africani guardassero al Brics, la differenza di letture e di prospettive è stata quasi accecante. Dalle nostre parti, si accentua il portato politico, in ottica di antagonismo allo status quo, del Brics. Visto dal continente africano, invece, il Brics ha un preponderante valore e potenziale economico.

L’aspetto politico è presente, ma meno pressante. Per Paesi che arrivano a importare il 90% degli alimenti o delle medicine dall’estero (e che quindi sono obbligati a farlo in dollari), la possibilità di alternative al dollaro è tutt’altro che secondaria. Soprattutto quando le crisi economiche e finanziarie si moltiplicano (il Brics nasce proprio in seguito alla crisi del 2008) e politiche monetarie restrittive hanno ricadute pesantissime su bilance commerciali e debiti.

In una conversazione telefonica, il proprietario di un’importante società di costruzioni in un Paese africano, con note e profonde difficoltà di disponibilità di valuta pregiata (dollari), mi spiegava come avesse dovuto fermare dei progetti in corso perché la Banca centrale del suo Paese non gli cambiava i soldi in dollari, che vengono razionati a favore di progetti considerati prioritari dal governo. Questo gli ha impedito di comprare il cemento sul mercato internazionale. «Capisci da solo che se mi viene offerta un’alternativa per poter comprare il cemento io la utilizzo immediatamente» mi ha detto. Se a questo elemento si aggiunge il fatto che negli ultimi vent’anni i legami economici e commerciali sull’asse sud-sud (America Latina-Africa-Asia) sono aumentati e si sono rafforzati, appare più comprensibile come un ampio pezzo di mondo che si sta impegnando a crescere e a svilupparsi cerchi vie alternative per mettersi al riparo da tempeste che avvengono sulle loro teste.

Davvero vogliamo ridurre tutto a “noi e loro”? Forse bisognerebbe capire che così facendo si contribuisce solo a creare davvero quel “loro” che tanto temiamo. 

 

Questo editoriale è apparso sul numero di novembre 2024 di Africa e Affari, disponibile per l’acquisto qui in formato cartaceo e qui in formato digitale.

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