di: Ernesto Sii | 6 Maggio 2025
Il documento sul “Fiscal Year 2026 Discretionary Budget Request”, trasmesso al Congresso lo scorso 2 maggio dall’amministrazione Trump, segna una profonda cesura rispetto alle precedenti politiche di cooperazione internazionale degli Stati Uniti. Nella lettera, disponibile cliccando qui, indirizzata alla senatrice Susan Collins, il direttore dell’Office of Management and Budget, Russell Vought, annuncia un piano di riduzione della spesa discrezionale pari al 22,6% rispetto al 2025. Alla base della proposta vi è l’intenzione di eliminare le voci ritenute “ideologiche” o “inefficienti”, in favore di un approccio più selettivo e orientato agli interessi diretti degli Stati Uniti. La dottrina “America First” riaffiora in tutta la sua forza, con una netta contrazione dei programmi tradizionali di aiuto allo sviluppo.
Per quanto riguarda il continente africano, gli effetti della nuova strategia sono immediatamente visibili e potenzialmente gravi. La proposta di bilancio prevede l’eliminazione dei contributi statunitensi al Fondo Africano di Sviluppo e alla Banca Africana di Sviluppo, con un taglio pari a 555 milioni di dollari. Si tratta di una decisione simbolicamente e finanziariamente rilevante, che priva molte economie africane di uno dei principali canali multilaterali di cooperazione economica con Washington.
Allo stesso tempo, vengono soppressi programmi di assistenza alimentare come “Food for Peace”, storicamente utilizzati per fronteggiare crisi umanitarie e insicurezza alimentare in diverse regioni africane. Il budget considera il programma inefficiente e costoso, accusandolo di danneggiare i mercati agricoli locali. Anche i fondi destinati alla salute globale e alla pianificazione familiare subiscono un taglio netto, pari a 6,2 miliardi di dollari, motivato con l’accusa che questi sostengano ong “liberali” e agende considerate incompatibili con la nuova politica pro-life dell’amministrazione. Si tratta di una scelta che potrebbe incidere significativamente su servizi sanitari e campagne di prevenzione attive in numerosi paesi africani.
Il bilancio prevede anche il ritiro dai programmi di peacekeeping delle Nazioni Unite, con particolare riferimento alle missioni in Africa, considerate inefficienti e, in alcuni casi, addirittura compromesse da scandali. Inoltre, gli Stati Uniti intendono sospendere la maggior parte delle contribuzioni volontarie e obbligatorie agli organismi internazionali, comprese quelle a favore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, spesso coinvolta in progetti di cooperazione sanitaria in Africa.
Tuttavia, in questo scenario di contrazione generalizzata, una voce si distingue per segno opposto: l’aumento dei fondi destinati alla U.S. International Development Finance Corporation (Dfc). Il bilancio prevede un incremento di 2,82 miliardi di dollari, comprensivo di un nuovo fondo rotativo da 3 miliardi, che permetterà alla Dfc di reinvestire i profitti generati dalle proprie attività senza passare dal Congresso. La Dfc è lo strumento con cui Washington promuove investimenti privati nei paesi in via di sviluppo, offrendo garanzie e prestiti a tassi agevolati.
Questo rilancio della Dfc potrebbe avere implicazioni dirette per il continente africano. Durante il primo mandato di Donald Trump, l’agenzia aveva assunto un ruolo crescente nella strategia “Prosper Africa”, sostenendo progetti infrastrutturali ed energetici in diversi paesi. Tuttavia, il cambio di amministrazione aveva poi portato a una ridefinizione delle priorità e a un relativo disimpegno. L’attuale proposta di bilancio suggerisce la possibilità che la Dfc torni a guardare con interesse all’Africa, in linea con una logica di investimento piuttosto che di assistenza.
Il bilancio 2026 proposto dal presidente Trump delinea quindi un drastico ridimensionamento della cooperazione tradizionale, orientata alla solidarietà multilaterale, in favore di un modello di intervento selettivo e bilaterale, fondato sul ritorno economico e sulla sicurezza nazionale. Per l’Africa, questo potrebbe tradursi in una perdita significativa di canali di aiuto umanitario, ma anche nell’opportunità di riattivare una cooperazione finanziaria con la Dfc, più incentrata sullo sviluppo infrastrutturale e imprenditoriale, benché orientata da criteri politici e strategici statunitensi.
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