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#Africa 2017: nuovi player e vecchie locomotive, sarà un’Africa a due velocità

di: Redazione | 11 Gennaio 2017

L’anno che si è appena concluso è stato per le economie dei Paesi dell’Africa come un vero e proprio giro sulle montagne russe, con alti e bassi improvvisi e repentini causati soprattutto dal prolungato calo dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali. Il presidente della Banca africana dello sviluppo, Akinwumi Adesina, ha detto infatti in una recente intervista che se si guarda alle stime per il 2016 in Africa ci si attende una crescita del prodotto interno lordo complessivo intorno all’1,7%. Una percentuale ben più bassa del tasso del 5% registrato in media nel continente negli ultimi dieci anni e inferiore anche a quel 3,7% stimato inizialmente per quest’anno dalla stessa AfDB nel suo Economic Outlook pubblicato lo scorso maggio.
A pesare sulla crescita in Africa del 2016 è in primo luogo il pessimo risultato di quelle che sono principali economie africane, Paesi produttori di petrolio come Angola e Nigeria (dove va registrata la prima recessione della sua storia nazionale con una contrazione del pil dell’1% su base annua) o del Sudafrica, che tutti insieme contribuiscono alla formazione di oltre la metà del pil dell’intero continente.
“Bisogna però mettere bene in evidenza che da tale dato sulla crescita complessiva dell’1,7% a livello continentale – ha detto Adesina – non riesce a emergere il fatto che ci sono almeno 15 Paesi dell’Africa che invece nel 2016 dovrebbero registrare aumenti superiori al 5%, tra cui la Costa d’Avorio, dove quest’anno è attesa un’espansione dell’8,5%”.
È come se il continente fosse diviso in due gruppi che corrono a velocità diverse. Da un lato, i grandi Paesi produttori di materie prime – con Nigeria, Sudafrica e Angola in testa – che devono fare i conti con la necessità di aggiustamenti strutturali per gestire una condizione di difficoltà legata, come si diceva, ai mercati internazionali e destinata a durare ancora a lungo. Dall’altro ci sono gli importatori di petrolio, che sono favoriti dal contesto globale e la cui crescita si mantiene solida grazie ai programmi espansivi degli investimenti pubblici, al progresso dei processi d’integrazione regionale e alla crescita demografica: si parla in questo caso soprattutto dei Paesi dell’Africa orientale, e infatti Kenya, Rwanda e Tanzania sono tra quelli dove il prossimo anno sono attesi i progressi maggiori.
Gli economisti del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca Mondiale hanno poi evidenziato il rovescio della medaglia, da un punto di vista finanziario, dei programmi d’investimento pubblico, in Africa realizzati soprattutto attraverso l’indebitamento con istituzioni finanziarie multilaterali e creditori internazionali. Si pensi al Mozambico, dove è emerso che il governo aveva contratto debiti non dichiarati per un valore pari a circa il 20% del pil, oppure all’Uganda, che avrebbe invece utilizzato in modo giudicato eccessivo lo strumento finanziario dei prestiti al punto che la Banca Mondiale ha deciso di sospendere la concessione di nuovi finanziamenti fino a quando il livello di indebitamento non sarà ridotto a una quota maggiormente sostenibile per le casse pubbliche di Kampala. In generale, però, l’Fmi giudica il livello di indebitamento dei Paesi dell’Africa piuttosto sostenibile, a patto che la maggior parte dei nuovi investimenti sia destinata a progetti produttivi, dalle infrastrutture all’energia, in grado di portare a termine quella trasformazione strutturale delle economie africane universalmente giudicata l’unica soluzione possibile alle difficoltà esistenti oggi nel continente. (Per leggere l’articolo completo è possibile scaricare il numero di Africa e Affari al seguente link: https://urly.it/21rzv)
Per approfondire:
covergennaio2017
 

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