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Piano Mattei, i passi in avanti e quelli ancora da fare

di: Massimo Zaurrini | 22 Luglio 2025

A un anno e mezzo di distanza, due se si tiene conto delle prime dichiarazioni, è forse possibile cominciare a tirare un primo bilancio del Piano Mattei e del lavoro fatto finora. Prima di passare ad analizzare il raffronto dei progressi registrati tra le due relazioni inviate alle Camere ed entrare nel merito dei progetti vale la pena guardare ad alcuni aspetti generali e di contorno. Da quasi 15 anni ormai lavoriamo, ogni giorno, per tentare di portare una nuova narrazione dell’Africa in Italia ed è indubbio che l’interesse, il clamore e la curiosità suscitata dal Piano Mattei ha dato un deciso impulso verso un modo nuovo di guardare all’Africa, spingendo le realtà più disparate ad affacciarsi su una geografia in precedenza fuori da piani e strategie. L’attenzione all’Africa, lo sforzo di guardare al continente con lenti diverse da quelle storiche e un po’ stereotipate e, infine, quello di mappare prima e mettere a sistema poi le tante iniziative africane delle istituzioni nazionali sono tra gli impulsi positivi che il Piano ha portato sulla scena italiana e internazionale.

Interessante notare come una iniziale logica dello “aiutarli a casa loro”, che aveva caratterizzato la narrazione del Piano in una fase preliminare (ovvero prima della presentazione agli africani nel vertice del gennaio 2024) e che sembrava legare la strategia alla questione migrazioni, si sia andata sempre più affievolendo. La questione migratoria resta, indubbiamente, un elemento in filigrana caro a questo governo, ma non appare più l’elemento centrale che in un certo momento sembrava essere. Anzi, col passare del tempo, il Piano Mattei sembra aver guadagnato un sempre maggior peso “politico” per la Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, che, col moltiplicarsi delle interazioni con i propri colleghi africani, è stata sempre più chiamata a giocare un ruolo di mediatrice tra Africa ed Europa, per tentare di far comprendere a Bruxelles dubbi, richieste e critiche dei propri omologhi a sud del Mediterraneo. Questo ruolo di pontière del Mediterraneo (ben più forte di quello che la stampa mainstream attribuisce alla Meloni tra le due sponde dell’Atlantico) è particolarmente apprezzato dai leader africani. Ma sembra non dispiacere neanche ai vertici europei, che, come dimostra la disponibilità di Ursula von Der Leyen a seguire la Meloni nelle sue varie iniziative africane, pare apprezzare e delegare volentieri alla presidente del Consiglio italiana il dialogo con l’Africa, riconoscendone una maggiore efficacia e praticità. D’altronde, nonostante la maggiore anzianità temporale e la maggiore dotazione (ipotetica) finanziaria, la strategia europea che si prefiggeva di cambiare lo stato delle relazioni tra Europa e Africa (il Global Gateway) ha decisamente segnato il passo rispetto alla strategia italiana. Lato africano negli ultimi 18 mesi abbiamo registrato, in prima battuta, il crescente interesse di molti Paesi africani verso il Piano e verso possibili e nuove interazioni con Roma.

Come appare evidente, finora, “le luci” sul Piano sono soprattutto “politiche” e strategiche. Se ci si sposta ad analizzare alcuni aspetti pratici ed economici cominciano ad allungarsi le prime ‘ombre’. Voglio dirlo in maniera chiara e netta: a 18 mesi dal lancio di questa strategia i punti deboli restano soprattutto la comunicazione chiara e trasparente dei progetti finanziati e la comunicazione chiara e trasparente delle modalità di interazione con il Piano da parte di soggetti esterni alle istituzioni. Nel momento in cui il Piano Mattei annuncia la mobilitazione di 5,5 miliardi di euro di fondi pubblici è fondamentale che la comunicazione sul come, dove e perché i soldi dei contribuenti italiani vengono usati sia continua, chiara e costante. Fornire, agli addetti ai lavori, ma anche all’opinione pubblica, informazioni precise sui progetti, sul loro stato d’avanzamento, sui soggetti coinvolti e sui passaggi di sviluppo della progettualità non è un capriccio giornalistico, ma un dovere istituzionale. Ritengo fondamentale che la Cabina di Regia, al cui interno sono presenti molti “addetti ai lavori” del mondo imprenditoriale, dell’associazionismo, del mondo religioso, si esprima sulla necessità di comunicare all’esterno i passi in avanti (o indietro, non c’è niente di male) del Piano.

Altrettanto fondamentale, anzi forse ancora di più, è chiarire in modo netto le modalità con cui un’azienda, un’associazione o persino un’istituzione che abbia un buon progetto da realizzare in Africa possa “accedere al Piano Mattei”. A chi si presenta un progetto per capire se può rientrare nel Piano Mattei e godere di un supporto economico, finanziario o magari anche solo politico? A quale mail si può inviare? Con quale ufficio si può prendere appuntamento? Che numero si può chiamare? Sono in molti in Italia a chiederselo e altrettanti quelli che, in questi mesi, ce l’hanno chiesto. Avendo seguito da vicino il lavoro di chi poi il Piano è chiamato a metterlo a terra, ho dedotto, in maniera empirica, che in realtà attualmente esistono due binari. Da un lato, quello dei grandi progetti che coinvolgono  i grandi gruppi, perché il soggetto privato viene chiamato a co-investire nel progetto in un rapporto di almeno 50 e 50. Dall’altro, per i progetti più piccoli e le Pmi, esistono tutti quegli strumenti finanziari, assicurativi ed economici creati negli ultimi 18 mesi e messi a disposizione attraverso Simest, Sace, Cdp, ecc. Penso a Misura Africa di Simest e ad altri che, si vocifera, siano in cantiere. Se questa fosse la logica sarebbe assolutamente legittima. Ma allora perché non renderla pubblica e palese? Perché non comunicarla?

L’analisi dei documenti

Nei giorni scorsi, commentando a caldo la seconda relazione alle Camere sul Piano Mattei, avevamo fatto notare come quello che appare evidente è che “sul Piano Mattei si è continuato a lavorare”. Può sembrare un’affermazione scontata, ma non lo è così tanto in un Paese spesso in passato capace di simili annunci di attività dedicate all’Africa che poi sono rimasti solo “annunci”, per l’appunto. In quell’analisi a caldo, avevamo commentato come le “iniziative” del Piano citate nella seconda relazione e da noi contate fossero ben 64. Procedendo a una classificazione basata sulla concretezza delle azioni descritte, avevamo poi tracciato una linea di demarcazione tra progetti già definiti e operativi e quelli ancora in fase di avvio o discussione. Emergevano quindi 29 iniziative “concrete” (in questa categoria abbiamo fatto rientrare azioni come la firma di accordi, la pubblicazione di bandi, l’allocazione di fondi, la creazione di entità legali, l’identificazione precisa di siti, ecc.) e circa 35 iniziative che abbiamo definito  “interlocutorie o preliminari” (includendo attività descritte con verbi come “avviata”, “proseguita collaborazione”, “impegno a sostenere”, “diffusione”, “selezionate iniziative” o “verranno a breve avviati”).  In conclusione, la seconda relazione sul Piano Mattei ai nostri occhi ha dipinto il ritratto di una strategia in piena evoluzione, che consolida le sue fondamenta finanziarie e geopolitiche. L’analisi puntuale delle iniziative rivela, però, un’architettura complessa, dove a fondamenta già gettate e progetti operativi si affianca un vasto cantiere di opportunità ancora da concretizzare. La vera sfida, nei prossimi mesi, sarà trasformare le numerose iniziative “avviate” e “interlocutorie” in risultati misurabili e tangibili per le popolazioni africane e per il partenariato italo-africano.

Effettuando un raffronto analitico tra la prima relazione (aggiornata al 10 ottobre 2024) e la seconda (aggiornata al 30 giugno 2025), è poi possibile evidenziare con maggiore chiarezza l’evoluzione del Piano Mattei. Il passaggio chiave è da una fase di impostazione strategica e negoziazione a una fase di piena operatività e attuazione concreta.

Si registra un progresso significativo su quasi tutte le direttrici del Piano. La struttura, che nel 2024 era in fase di consolidamento, nel 2025 è pienamente operativa e sta producendo risultati misurabili. Dal punto di vista dell’architettura finanziaria si è passati dalla negoziazione alla piena operatività: molti strumenti finanziari descritti come in fase di istituzione nella prima relazione, sono definiti “pienamente operativi” nella seconda. Il “Mattei Plan-Rome Process Financial Facility”, descritto nel primo rapporto, è ora formalmente accettato, ha una governance istituita, è pienamente operativo e ha ricevuto un primo contributo dagli Emirati Arabi Uniti di 25 milioni di dollari. La “Misura Africa” di Simest, menzionata come istituita nella prima relazione, ha già impegnato circa 50 milioni di euro per 90 progetti di Pmi italiane. Le garanzie di Sace hanno consentito la realizzazione di investimenti per 2 miliardi di euro coinvolgendo circa 200 imprese italiane. Il Comitato Tecnico per la gestione della quota del Fondo Italiano per il Clima destinata al Piano ha approvato progetti per circa 265 milioni di euro. Anche dal punto di vista geografico e di internazionalizzazione il Piano si è ufficialmente esteso da 9 a 14 Nazioni, un’evoluzione che nella prima relazione era solo un’ipotesi per il futuro. La sinergia con il Global Gateway dell’UE, menzionata nel primo rapporto, si è concretizzata nel Vertice del 20 giugno 2025, co-presieduto con la Commissione Europea, che ha portato a 11 intese e impegni per 1,2 miliardi di euro. La partecipazione italiana, annunciata come intenzione nel primo rapporto, è diventata formale con l’adesione al Memorandum d’Intesa e la finalizzazione della prima parte di un contributo finanziario di 250 milioni di euro.

Guardando anche ai progetti, mettendo a confronto le due relazioni si notano alcuni avanzamenti sulla carta (nel senso che sarebbe interessante una verifica sul terreno): il progetto di agricoltura desertica in Algeria è passato dalla fase di avvio (semina a dicembre 2024) alla piena realizzazione, con la prima semina effettuata a ottobre 2024 e l’obiettivo di coltivare 7.000 ettari entro ottobre 2025.  Il Centro di Eccellenza per le energie rinnovabili è passato dall’avvio del primo corso (ottobre 2024) alla pianificazione di tre nuovi percorsi formativi per luglio 2025. Il progetto, già finanziato nel primo rapporto, ha visto un’espansione concreta, coinvolgendo oggi oltre 100.000 agricoltori e 350 lavoratori locali. Il progetto Blue Raman ha compiuto un passo avanti con un’intesa tra Commissione Europea e Banca Europea degli Investimenti per la sua possibile estensione a Kenya e Tanzania, firmata a margine del vertice del 20 giugno.

Altri progetti risultano fermi e alcune iniziative, pur menzionate in entrambe le relazioni, non mostrano un’evoluzione sostanziale, suggerendo che sono ancora in fase di studio o discussione. Come il Progetto idrogeno verde in Tunisia. La prima relazione menzionava l’avvio dello studio di un progetto con Enel, Eni e Acea. La seconda relazione riporta che “sono proseguite le discussioni per il progetto pilota”. Il linguaggio usato non sembra indicare un passaggio a una fase successiva (es. studio di fattibilità completato o avvio lavori).

È interessante notare anche come alcuni progetti, presentati con schede dedicate nella prima relazione, non trovino menzione nella seconda. Questo non significa necessariamente che siano “passi indietro” o che siano stati abbandonati, ma la loro assenza suggerisce che potrebbero non essere più considerati prioritari nella comunicazione o che non abbiano registrato avanzamenti significativi da riportare.

In conclusione, il raffronto tra i due documenti mostra un chiaro passo in avanti nella strutturazione e nell’operatività del Piano. Le fondamenta finanziarie e di governance sono state consolidate, i partenariati internazionali sono diventati più concreti e molti progetti pilota sono entrati nella fase di attuazione con risultati iniziali. Restano da dissipare le ombre relative alla comunicazione, di cui abbiamo parlato in precedenza, e chiarire le procedure con cui, in Italia, dare seguito al grande interesse e alla grande curiosità sollevata.

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