di: Céline Dominique Nadler | 21 Maggio 2025
Mentre l’attenzione mediatica è puntata sull’imminente, e altamente politicizzata, visita del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa a Washington per un incontro atteso con il suo omologo statunitense Donald Trump, gli Stati Uniti hanno recentemente svelato durante l’Africa Ceo Forum di Abidjan una radicale ridefinizione del loro approccio all’Africa, virando decisamente dagli “aiuti” al “commercio e agli investimenti”. Una nuova strategia che sembra rivelare la vera posta in gioco in un continente sempre più al centro delle dinamiche geopolitiche globali.
La visita di Ramaphosa, in programma per le prossime ore, si inserisce in un contesto complesso di divergenze e accuse reciproche tra Pretoria e Washington. La delegazione sudafricana, determinata ad attutire le tensioni, ha già previste diverse proposte commerciali, come ipotetici vantaggi tariffari per Tesla – l’azienda automotive guidata da Elon Musk, consigliere di Trump -, in cambio di infrastrutture per veicoli elettrici, e la discussione sulla licenza per Starlink – altra società di Musk -, un tema che ha generato non poche frizioni. Il ministro sudafricano dell’Agricoltura, John Steenhuisen, membro della delegazione a Washington, concentrerà invece gli sforzi sul mantenimento dei benefici dell’African Growth and Opportunity Act (Agoa) a favore degli agricoltori sudafricani.
In effetti, i recenti dazi doganali annunciati dall’amministrazione Trump – i quali, nel caso del Sudafrica, potrebbero colpire del 30% il settore automobilistico – erodono i benefici dell’Agoa e mettono in discussione un quarto di secolo di commercio preferenziale tra gli Stati Uniti e il continente africano, segnalano la fine di un’era. A complicare il quadro, la decisione di congelare e potenzialmente chiudere l’Usaid, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, che, nel solo 2023, ha erogato oltre 12 miliardi di dollari in 3.200 progetti nell’Africa subsahariana, coprendo settori vitali come l’assistenza umanitaria e la sanità.
In questo scenario di bruschi cambiamenti, la notizia è arrivata dall’Africa Ceo Forum svoltosi la scorsa settimana ad Abidjan, in Costa d’Avorio, con Troy Fitrell, assistente segretario di Stato statunitense per gli Affari africani, che ha annunciato una radicale inversione di rotta: “L’assistenza coinvolge un donatore e un beneficiario, ma il commercio è uno scambio tra pari”, ha affermato, rivelando la nuova politica per l’Africa degli Stati Uniti.
Secondo Fitrell, la nuova strategia statunitense si articola in sei punti chiave, mirati a intensificare i legami commerciali e a “invertire finalmente decenni di stagnazione” nel commercio Usa-Africa. Innanzitutto, sarà data la priorità alla diplomazia commerciale, con le ambasciate statunitensi dispiegate in prima linea per facilitare accordi commerciali. Sarà inoltre attuata una riforma delle barriere commerciali, con l’obiettivo di rimuovere barriere tariffarie e non tariffarie che ostacolano il flusso degli scambi. Gli Stati Uniti si impegnano anche a sostenere infrastrutture sostenibili, suscettibili di sbloccare investimenti privati, favorendo la creazione di “progetti bancabili”. Saranno poi incrementate le missioni commerciali statunitensi nel continente per esplorare nuove opportunità di business, così come sarà fornito maggiore supporto agli esportatori statunitensi per accedere ai mercati africani. Infine, attraverso una riforma degli strumenti di promozione commerciale, gli Stati Uniti intendo rimodulare i propri strumenti per assumere maggiori rischi e accelerare le risposte alle esigenze del mercato.
A testimonianza di questo cambio di passo, Fitrell ha inoltre annunciato l’intenzione del presidente Trump di ospitare il suo primo vertice dei leader Usa-Africa quest’anno, con un focus esclusivo sul commercio e gli investimenti. Questo vertice non sarà un’occasione per discutere di politica o guerra, ma per prioritizzare lo scambio tra partner e le relazioni tra pari.
Una notizia che giunge a pochi giorni da un segnale controtendenza rispetto ai tagli generalizzati, con l’aumento dei fondi destinati alla Us International Development Finance Corporation (Dfc), lo strumento con cui Washington promuove investimenti privati nei Paesi in via di sviluppo. L’incremento di 2,82 miliardi di dollari e un nuovo fondo rotativo da 3 miliardi permetteranno infatti alla Dfc di reinvestire i profitti autonomamente, suggerendo un forte interesse per l’Africa, ma in una logica di investimento piuttosto che di assistenza.
Anche le altre grandi potenze globali non nascondono il proprio interesse per il continente. Così l’Europa potrebbe offrire all’Africa una partnership “stabile e affidabile” in un mondo turbolento, come ha affermato Thomas Ostros, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), organismo finanziario che investe fino a 5 miliardi di euro all’anno nel continente, oltre alla recente adozione dell’Africa-Eu Global Gateway Investment Package di 160 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2027.
Il messaggio statunitense proveniente da Abidjan è chiaro: l’Africa non è più un continente da “assistere”, ma un mercato dinamico, un motore di innovazione e un partner commerciale globale. La “America First” di Trump, con i suoi dazi e tagli agli aiuti, pur creando significative sfide a breve termine, potrebbe paradossalmente spingere l’Africa verso una maggiore autonomia e una diversificazione delle sue strategie economiche, soprattutto alla luce della progressiva attuazione dell’Area di libero scambio continentale africano (Afcfta), il più grande mercato unico del mondo, e della crescente necessità sia di trasformare le proprie materie prime per creare valore aggiunto sia di diversificare i partner commerciali e l’offerta produttiva.