di: Valentina Milani | 14 Agosto 2025
Il Sudafrica presenterà una proposta commerciale rivista agli Stati Uniti per ridurre il dazio del 30% recentemente imposto e, parallelamente, cercherà mercati alternativi per compensarne l’impatto. Lo ha annunciato il ministro del Commercio, dell’Industria e della Concorrenza, Parks Tau, in conferenza stampa a Pretoria.
Secondo Tau, il Consiglio dei ministri ha approvato l’offerta aggiornata, che si basa su una proposta presentata a maggio e tiene conto delle osservazioni formulate da Washington nel rapporto National Trade Estimate 2025. Il ministro ha spiegato che, oltre al dialogo con gli Stati Uniti, il governo sta attuando una strategia articolata su cinque assi, comprendente la diversificazione delle esportazioni verso altri mercati e un pacchetto di sostegno economico per le imprese e i lavoratori colpiti.
I mercati prioritari individuati sono in Asia e Medio Oriente, con l’intenzione di sfruttare anche l’Area di libero scambio continentale africana (AfCFTA) per rafforzare il commercio intra-africano e la resilienza regionale. “Diversificare significa anche proteggere i mezzi di sussistenza rurali e garantire una crescita agricola sostenibile per la nostra popolazione”, ha sottolineato Tau.
Il ministro dell’Agricoltura, John Steenhuisen, ha infine riferito che il Sudafrica è in fase avanzata di negoziati con la Cina per aumentare le esportazioni di agrumi, ricordando l’impegno di Pechino a concedere accesso a dazio zero su tutte le linee tariffarie ai 53 Paesi africani con relazioni diplomatiche con la Repubblica popolare.
I dazi statunitensi del 30% sulle merci sudafricane, riguardano principalmente prodotti agricoli e manifatturieri, tra cui agrumi, vino e componentistica automobilistica. Anche il settore dei diamanti naturali è interessato dalla misura. Washington ha motivato la misura con la necessità di riequilibrare il disavanzo commerciale e con presunte barriere non tariffarie applicate da Pretoria. La decisione ha sollevato preoccupazioni in Sudafrica per il possibile impatto occupazionale, stimato in oltre 30.000 posti di lavoro a rischio, e ha riacceso il dibattito sull’eccessiva dipendenza dalle esportazioni verso il mercato statunitense.
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