di: Tommaso Meo | 11 Agosto 2025
Il governo della Repubblica Democratica del Congo ha annunciato il recupero di quasi 600 titoli minerari e di cava, per un totale di circa 38.000 quadrati minerari, pari a oltre 30.000 chilometri quadrati di superficie. La misura rappresenta una tappa decisiva nella strategia nazionale per riformare un settore chiave dell’economia, da anni segnato da irregolarità diffuse.
Secondo il ministero delle Miniere, non si tratta di un semplice riordino amministrativo. Negli ultimi anni, diverse imprese titolari di permessi di ricerca avrebbero avviato operazioni di estrazione senza le necessarie autorizzazioni, mentre altre mantenevano i diritti minerari inattivi per fini speculativi. A ciò si aggiungono mancati pagamenti di diritti e titoli detenuti irregolarmente da privati.
Nel 2024, lo Stato riconosceva circa 2.000 permessi di ricerca su una superficie di oltre 140.000 chilometri quadrati, a fronte di un numero molto più limitato di licenze d’estrazione effettive. Attualmente, meno del 20% del territorio nazionale risulta realmente esplorato, con numerosi giacimenti ancora inutilizzati, anche in ambito pubblico.
Nel tentativo di rafforzare il controllo e la trasparenza nel settore, il Catasto delle miniere ha lanciato una gara d’appalto per l’acquisto di droni destinati a migliorare la mappatura e la delimitazione dei siti. Le offerte potranno essere presentate fino all’11 agosto 2025.
La riforma si colloca in un contesto geopolitico segnato dall’interesse crescente degli Stati Uniti per le risorse minerarie critiche congolesi. La società americana KoBold Metals, con il sostegno dell’amministrazione Trump, ha recentemente firmato un accordo con le autorità congolesi per digitalizzare gli archivi geoscientifici del Paese. Gli Usa guardano con attenzione a giacimenti strategici come quello del coltan di Rubaya, ancora sfruttato artigianalmente, e al più grande deposito africano di litio da roccia dura, attualmente non operativo.
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