di: Michele Vollaro | 29 Luglio 2025
In una Africa Hall gremita di delegati, il verdetto più atteso del Vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari (UNFSS+4) in corso ad Addis Abeba è arrivato come una doccia fredda: mentre la fame a livello globale segna una lieve battuta d’arresto, in Africa continua inesorabilmente a crescere. È questa la drammatica divergenza messa nero su bianco dal nuovo rapporto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” (Sofi 2025), presentato ieri sera durante una sessione speciale che ha chiuso la prima giornata dei lavori. Un’analisi che, come ha sottolineato la vice-segretaria generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed, nel suo intervento, svela una crisi che non è di scarsità, ma “di giustizia, equità e clima”.
La presentazione ha subito assunto un tono politico con gli interventi dei Paesi co-organizzatori. Il presidente federale dell’Etiopia, Taye Atske Selassie Amde, ha rivendicato gli sforzi del suo Paese come modello di azione. A rispondergli, per l’Italia, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, che ha inquadrato la crisi descritta dal rapporto all’interno della strategia italiana: “La sicurezza alimentare è un pilastro della stabilità e della nostra politica estera”, ha dichiarato, collegando la risposta alla visione del Piano Mattei come strumento per affrontare le “cause profonde” delle crisi, promuovendo uno sviluppo che generi lavoro e opportunità in loco.
I numeri presentati dalle cinque agenzie Onu co-autrici (Fao, Ifad, Unicef, Pam/Wfp e Oms/Who) sono inequivocabili. A livello globale, si stima che 673 milioni di persone abbiano sofferto la fame nel 2024, un dato in lieve calo ma ancora drammaticamente superiore di 119 milioni rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019. La vera notizia, però, è nella netta controtendenza registrata dal continente africano, dove il numero di persone denutrite è aumentato, raggiungendo i 307 milioni. “Questa tendenza globale maschera forti disparità regionali”, ha spiegato Máximo Torero, capo-economista della Fao. “Se le tendenze attuali continuano, entro il 2030, il numero di persone cronicamente denutrite sarà di circa 512 milioni, e il 60% di tutte le persone denutrite nel mondo vivrà in Africa. Dobbiamo invertire urgentemente questa traiettoria”.
La crisi africana, come evidenzia il rapporto, non si limita alla fame cronica. Il 55,4% della popolazione del continente ha affrontato un’insicurezza alimentare moderata o grave nel 2024, e un drammatico 78% non ha potuto permettersi una dieta sana nell’ultimo anno. Ma perché l’Africa arretra mentre altre regioni, come il Sud America, migliorano? Secondo Torero, le cause sono una tempesta perfetta di fattori: “In primo luogo, le pressioni demografiche rimangono elevate, mentre i guadagni di produttività agricola sono limitati. La produzione alimentare semplicemente non riesce a tenere il passo con la crescita della popolazione”. A questo si aggiungono shock multipli che si rafforzano a vicenda: conflitti, come in Sudan e nel Sahel, estremi climatici e recessioni economiche. Infine, il fattore monetario: “Molti Paesi africani sono importatori netti di cibo e altamente esposti alla volatilità dei prezzi globali. Il deprezzamento delle valute, spinto da tassi di interesse globali più alti e instabilità interna, ha ulteriormente eroso il loro potere d’acquisto”.
L’impatto di questa crisi economica sull’alimentazione è stato sottolineato con forza da Afshan Khan, coordinatrice del Movimento Scaling Up Nutrition (Sun): “Dare priorità alla sola produzione di colture di base non è abbastanza: non fornirà la diversità alimentare necessaria per la crescita dei bambini”. Un punto ripreso da Appolinaire Djikeng dell’International Livestock Research Institute (Ilri), che ha spiegato come nei momenti di difficoltà “gli alimenti di origine animale come carne, latte e uova sono spesso i primi a essere sacrificati, nonostante forniscano micronutrienti vitali”.
A rendere il quadro ancora più fosco è l’allarme lanciato da Cindy McCain, direttrice esecutiva del Pam/Wfp. “I livelli della fame nel mondo rimangono allarmanti, ma i finanziamenti necessari per combatterla sono in calo”, ha denunciato. “Quest’anno, a causa di tagli ai finanziamenti fino al 40 percento, decine di milioni di persone perderanno il sostegno vitale offerto dalla nostra agenzia”. La direttrice del Pam ha poi elencato le conseguenze concrete: “Stiamo respingendo 8,5 milioni di persone bisognose in Afghanistan, abbiamo tagliato gli aiuti a 2,3 milioni di persone in Sud Sudan il mese prossimo, e le razioni per i rifugiati in Uganda e Kenya sono meno di un terzo del necessario”.
Di fronte a questa diagnosi, la soluzione indicata è chiara. Per Máximo Torero, è necessario agire su più fronti: investire in produttività, aumentare la resilienza e rafforzare la stabilità macroeconomica. Un punto ribadito da Alvaro Lario, presidente dell’Ifad: “Quando i prezzi aumentano e le catene del valore sono compromesse, abbiamo il dovere di intensificare gli investimenti nella trasformazione rurale e agricola. Questi investimenti sono imprescindibili anche per la stabilità globale”.
Con la presentazione di questo rapporto, la prima giornata del summit si chiude pertanto non con una celebrazione, ma con una sfida. I numeri del SOFI 2025 hanno spento i riflettori sulle cerimonie di apertura per accenderli sulla fredda realtà della crisi africana. Le discussioni di domani su finanza, tecnologia e sovranità alimentare non saranno più un esercizio teorico: ora hanno il peso e l’urgenza di 307 milioni di vite a cui dare una risposta.