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Le miniere africane e la trappola degli incentivi fiscali 

di: Ernesto Sii | 20 Agosto 2025

Mentre il mondo guarda con crescente attenzione alle risorse del sottosuolo africano, teatro di una nuova corsa globale ai minerali critici e alle terre rare essenziali per la transizione energetica e digitale, un nuovo rapporto getta una luce critica su una pratica diffusa e dannosa: la concessione di generosi incentivi fiscali alle compagnie minerarie. Il documento, intitolato “Rethinking Tax Incentives in the Mining Sector in Africa” e frutto della collaborazione tra il Forum Intergovernativo su Miniere, Minerali, Metalli e Sviluppo Sostenibile (Igf) e la Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite (Uneca), lancia un messaggio forte e chiaro: è ora che l’Africa smetta di svendere le proprie ricchezze.

Il rapporto, pubblicato a giugno, smonta la narrativa, a lungo promossa dagli investitori stranieri, secondo cui la concessione di ampi benefici fiscali sia una condizione indispensabile per attrarre capitali. Al contrario, sostiene che “la maggior parte dei Paesi africani non è riuscita a realizzare pienamente i ricavi attesi dal settore a causa di diversi fattori esterni e interni, tra cui incentivi fiscali mal progettati ed eccessivamente generosi“. Questa pratica non solo ha causato “la perdita di ingenti entrate minerarie in Africa”, ma si è anche rivelata in gran parte inefficace nel suo presunto scopo.

Un costo enorme per le casse pubbliche

I dati presentati nel rapporto sono allarmanti. Sebbene manchi una valutazione globale e completa del costo di tali incentivi, gli esempi specifici sono eloquenti. In Sierra Leone, le perdite di entrate dovute agli incentivi concessi al settore minerario tra il 2014 e il 2016 sono state “equivalenti al deficit di bilancio del Paese per il 2024“. Si parla di 131 milioni di dollari persi a causa di una Cit holiday (esenzione dall’imposta sul reddito delle società) concessa a sole due aziende.

Anche il Malawi, dove metà della popolazione vive in povertà, ha perso 43,16 milioni di dollari in sei anni a causa di una riduzione delle royalty e di esenzioni sulle ritenute d’acconto per una singola compagnia mineraria. Una cifra che, come sottolinea il rapporto, “avrebbe potuto finanziare 431.000 trattamenti annuali per l’Hiv/Aids o gli stipendi annuali di 8.500 medici per il Paese”. Anche in Guinea, dove le spese fiscali derivanti dal settore minerario rappresentano quasi un quarto del totale nazionale, modeste riforme potrebbero generare entrate pari a quattro volte il budget agricolo del Paese.

Incentivi: non così decisivi per gli investimenti

Uno dei pilastri del rapporto è la demolizione del mito secondo cui gli incentivi fiscali siano il fattore chiave per le decisioni di investimento nel settore minerario. La ricerca dimostra in effetti che questi benefici sono molto più efficaci per settori “mobili”, come il manifatturiero tessile, che possono facilmente delocalizzare la produzione in cerca di regimi fiscali più vantaggiosi. Il settore minerario, invece, è intrinsecamente meno “mobile”.

Per un investitore minerario, altri fattori sono molto più determinanti: “la posizione, la quantità e la qualità delle risorse minerarie, la manodopera qualificata esistente, la qualità delle infrastrutture e la stabilità politica e la sicurezza”. Anzi, gli investitori più avveduti tendono a guardare con sospetto a incentivi “troppo belli per essere veri”, poiché regimi fiscali eccessivamente generosi sono spesso inversamente correlati alla stabilità e possono essere soggetti a pressioni politiche per una loro revisione futura.

Un veicolo per corruzione e flussi finanziari illeciti

Il rapporto evidenzia un’altra conseguenza nefasta: gli incentivi fiscali nel settore minerario sono “porta d’ingresso per i flussi finanziari illeciti (Iff)”. La predominanza di imprese multinazionali facilita pratiche di pianificazione fiscale aggressiva, mentre la scarsa capacità delle amministrazioni africane di applicare le norme fiscali internazionali aggrava il problema.

Gli incentivi possono incoraggiare risposte comportamentali da parte delle aziende, volte a massimizzare i benefici in modi non previsti dal legislatore. Ad esempio, un’esenzione fiscale a tempo limitato può spingere un’azienda ad accelerare l’estrazione del minerale di più alta qualità (high grading) durante il periodo di esenzione, massimizzando i profitti esentasse e lasciando allo Stato il minerale meno redditizio. Allo stesso modo, esenzioni sulle ritenute d’acconto per interessi e servizi possono incentivare pratiche di thin capitalization (eccessivo indebitamento infragruppo) o la fatturazione di servizi a prezzi gonfiati per spostare i profitti verso giurisdizioni a bassa fiscalità.

Immagine generata con Ai

Il rischio di corruzione è particolarmente elevato quando gli incentivi vengono concessi “attraverso contratti minerari su misura, dove sfuggono al controllo pubblico e sono inclini a influenze indebite”. Il rapporto rileva che l’Africa si distingue da altre regioni proprio per offrire un numero comparativamente maggiore di incentivi tramite contratti individuali piuttosto che attraverso la legislazione generale, aumentando l’opacità e il potere discrezionale dei funzionari governativi.

È ora di cambiare rotta: un approccio unito

Il documento sostiene con forza che “il tempo degli incentivi fiscali eccessivamente generosi e sbilanciati nel settore minerario è finito”. Il contesto internazionale sta cambiando. L’accordo globale promosso da Ocse/G20 su un’imposta minima del 15% per le multinazionali sta limitando la “corsa al ribasso” nella competizione fiscale. Continuare a offrire incentivi che portano l’aliquota fiscale effettiva al di sotto di questa soglia non servirebbe a promuovere gli investimenti, ma solo a “rinunciare a entrate che saranno raccolte da altri Paesi“, in particolare i Paesi sede delle multinazionali.

Di fronte a questa nuova realtà e alla crescente domanda di minerali critici, i Paesi africani hanno un’opportunità unica. Invece di competere tra loro in una gara al ribasso che “ha beneficiato solo gli investitori”, dovrebbero “sfruttare le economie di scala e promuovere la cooperazione regionale per massimizzare i benefici della loro ricchezza mineraria”. L’armonizzazione delle politiche fiscali a livello regionale, stabilendo ad esempio aliquote minime per royalty e imposte sul reddito ed eliminando gli incentivi più dannosi, è la strada maestra indicata dal rapporto.

Questo non significa eliminare ogni forma di incentivo. Il rapporto riconosce che, in alcuni casi, “i Paesi possono beneficiare dell’offerta di incentivi fiscali”. Tuttavia, questi devono essere “intelligentemente progettati”, mirati, limitati nel tempo e basati su una rigorosa analisi costi-benefici. Potrebbero essere utilizzati per promuovere obiettivi specifici e preziosi, come lo sviluppo delle fasi intermedie della lavorazione dei minerali più vicino alle miniere, il trasferimento tecnologico, l’assunzione e la formazione locale, o l’adozione di tecnologie pulite per ridurre l’impatto ambientale.

La conclusione del rapporto è un appello all’azione per realizzare finalmente la Africa Mining Vision, la visione strategica dell’Unione Africana per un settore minerario che sia catalizzatore di uno sviluppo economico e sociale ampio e sostenibile.

© Riproduzione riservata

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