di: Redazione | 8 Aprile 2025
“L’Africa non può costruire sistemi energetici resilienti o basi industriali competitive in isolamento. L’Europa non può realizzare la sua transizione verde senza un accesso affidabile ai minerali africani. I Paesi del Golfo non possono garantire la loro diversificazione economica a lungo termine senza i mercati africani”. Nel mondo dell’energia, tutto è interdipendente per Maddalena Procopio, analista senior del think tank European Council on Foreign Relations (Ecfr), e i partenariati internazionali non sono una scelta, ma una necessità.
Nel suo intervento alla conferenza International African Energy Transition (Inaet), in corso a Nairobi, Procopio invita a “non romanticizzare” la cooperazione con l’Africa e a guardare anche alle criticità: “infrastrutture e logistica, mercati frammentati, accesso limitato a finanziamenti a prezzi accessibili, aumento del debito, contesti politici instabili” sono fattori che “continuano a rappresentare formidabili barriere strutturali allo sviluppo socioeconomico e agli investimenti esteri nel continente”.
“C’è un deficit di finanziamento di quasi 300 miliardi per raggiungere i contributi nazionali determinati e gli obiettivi climatici per il 2030 – sottolinea – e il finanziamento per il clima deve aumentare di molte volte in questo panorama”.
Guardando all’ordine energetico globale, “il rapporto transatlantico sta andando alla deriva – osserva la studiosa – Washington e Bruxelles non parlano più all’unisono su commercio, tecnologia e politica industriale – aggiunge – L’impronta occidentale tradizionale in Africa si sta riducendo in modo significativo”. Intanto, tante alleanze sud-sud “stanno scuotendo il mondo” come quelle che hanno visto intervenire massicciamente in Africa non solo la Cina, ma anche gli Stati del Golfo, il Giappone, la Corea del Sud e, ultimamente, l’Indonesia.
“La vera sicurezza energetica in Africa significa non solo la vendita di risorse e il controllo dei sistemi energetici per renderli resilienti, riducendo la dipendenza dalle importazioni globali volatili – conclude l’analista – significa garantire che la rivoluzione verde non solo transiti attraverso l’Africa, ma alimenti effettivamente le case, le industrie e le ambizioni africane. Ed è la nuova frontiera della competizione. Non più solo sulle materie prime, ma anche sull’aggiunta di valore locale e sulla sovranità industriale. Non importa quanto complesso o in salita possa essere questo percorso. I partner esterni in questo contesto devono adattarsi, non come concessione all’Africa, ma come condizione per una sicurezza condivisa”.
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