di: Ernesto Sii | 8 Aprile 2025
Con un intervento denso e lucido, Ian Gaitta, partner del dipartimento Progetti e Infrastrutture dello studio legale Anjarwalla & Khanna, ha aperto il panel intitolato ‘Framing the Change and Changing Frames: Policy and Regulatory Schemes’, dando il via ai lavori pomeridiani della prima giornata della conferenza Inaet a Nairobi. Il suo discorso ha offerto una riflessione profonda sul ruolo delle politiche e dei quadri normativi nella transizione energetica africana, sottolineando la necessità non solo di adattarsi al cambiamento, ma di guidarlo attivamente.
Gaitta ha esordito ponendo l’accento sull’eccezionale dinamismo del settore energetico africano, determinato da “progressi tecnologici, evoluzione delle strutture di mercato, cambiamento climatico e trasformazioni socioeconomiche”. Il Kenya, in particolare, si è distinto come caso emblematico di questo mutamento: oltre l’80% dell’elettricità fornita alla rete nazionale proviene da fonti rinnovabili, a fronte di una media globale che, secondo il recente Global Electricity Review 2025 del think tank Ember, si attesta al 40% per le fonti a basse emissioni. “Questa non è solo una storia keniota”, ha sottolineato Gaitta, “è una storia africana”.
Nel panorama continentale, ha ricordato, esempi significativi non mancano: dal Marocco, dove solare ed eolico stanno riconfigurando il mix energetico, al Sudafrica, dove la generazione privata cresce per sopperire alle carenze della rete pubblica, passando per Ruanda ed Etiopia. A trainare l’elettrificazione nelle aree rurali, poi, sono le mini-grid, che Gaitta ha definito “chiave di volta” per l’accesso universale all’energia.
Per Gaitta, la vera sfida non è solo nella transizione verso fonti rinnovabili, ma nel garantirne l’equità. “Una transizione energetica giusta è una transizione che non lascia nessuno indietro”, ha affermato. Questo richiede non solo politiche visionarie, ma anche ambienti regolatori agili, inclusivi e proiettati verso il futuro. In concreto, ciò significa agevolare gli investimenti pubblici e privati nelle rinnovabili, sviluppare infrastrutture di trasmissione, integrare tecnologie emergenti come lo storage e le smart grid, e semplificare i processi autorizzativi per i nuovi progetti.
Un esempio pratico? Il Kenya ha fissato l’ambizioso obiettivo di raggiungere il 100% di energia pulita e di accesso alla cucina pulita entro il 2030. In questa direzione si muovono la nuova politica energetica nazionale 2025-2034 e le recenti linee guida sull’idrogeno verde, segnale dell’impegno del governo per creare un ecosistema favorevole all’innovazione.
La sfida regolatoria e la riforma della governance
Accanto ai successi, Gaitta ha evidenziato le persistenti criticità: inerzia normativa, interessi consolidati, colli di bottiglia giudiziari e istituzionali. “Dobbiamo chiederci – ha detto – come ridurre il rischio per gli investimenti verdi? Come garantire l’inclusività della transizione?”. Per rispondere, non basta una riforma normativa: serve un cambiamento culturale che coinvolga regolatori, imprese, accademia e cittadini. Serve passare da “regole statiche a una governance adattiva”, da “decisioni a porte chiuse a processi partecipativi”.
Un caso interessante è quello della recente normativa climatica approvata dal Parlamento keniano nel 2023, che riconosce e regolamenta i mercati volontari del carbonio e introduce strumenti sia di mercato che non di mercato. Questo, secondo Gaitta, testimonia l’impegno del Paese verso un approccio integrato alla riduzione delle emissioni.
In chiusura, Gaitta ha richiamato la responsabilità collettiva di “dare forma a una narrazione che risuoni con cittadini, investitori e decisori”. Una narrazione che non si limiti a enunciare ambizioni climatiche, ma che sappia tradurle in benefici concreti per le comunità africane. “Utilizziamo questa conversazione – ha detto – come piattaforma per ispirare azione e collaborazione in tutto il continente. Insieme, possiamo costruire un futuro energetico che non solo soddisfi le nostre ambizioni di net-zero, ma che contribuisca anche a risollevare le comunità africane”.
Un appello potente, che ha saputo coniugare pragmatismo giuridico e visione politica, tracciando con chiarezza la direzione in cui deve muoversi l’Africa: non solo framing the change, ma changing the frame.
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