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Il mondo che verrà sarà quello dei forti

di: Gianfranco Belgrano | 3 Settembre 2025

Cosa non dareste per una bella sfera di cristallo con cui poter leggere il futuro? Di certo è un esercizio che diversi di noi, per vari motivi, stanno provando a fare. Ci stanno provando gli economisti rispolverando teorie vecchie e nuove; ci stanno provando i comuni risparmiatori o chi ha semplicemente un mutuo sulle spalle e vorrebbe sapere cosa è meglio fare o non fare. Ci stiamo provando tutti noi per capire come si arriverà a fine mese. Ma la sfera di cristallo – purtroppo o per fortuna – non ce l’ha nessuno. Da quando Donald Trump ha preso possesso della Casa Bianca e rapidamente implementato ciò che aveva annunciato durante la campagna elettorale, ci si interroga sugli effetti che queste decisioni stanno avendo o avranno. I punti di osservazione sono differenti e diverse quindi le conclusioni a cui si arriva. Ci sono però alcuni elementi su cui in generale si concorda. 

Il primo di questi elementi fa riferimento alla parola globalizzazione e al suo contrario, deglobalizzazione. Qualunque cosa Trump abbia in mente, sono state aperte le porte di un processo di deglobalizzazione, in cui è importante controllare le risorse, avere in casa ciò di cui si ha bisogno. Reindustrializzare gli Stati Uniti è d’altra parte uno dei concetti chiave della politica trumpiana ed è un concetto che riporta a un processo reso evidente dalla pandemia, quando ci si rese conto che accorciare le filiere poteva essere determinante (da lì, per esempio, l’enfasi sul nearshoring).

Altra parola messa in discussione è il multilateralismo o, in altre parole, le regole che la comunità internazionale post seconda guerra mondiale e post guerra fredda, ha provato a darsi. Anche questo concetto è andato in crisi di fronte alle spallate di Trump, che forse ha semplicemente accelerato una tendenza già in atto: “prima l’America, poi gli altri” in altre parti si traduce come “prima noi, poi gli altri”. E come far valere le rispettive ragioni se non con atti di forza? Sembriamo andare dunque verso una situazione in cui non saranno le regole che ci siamo dati come comunità internazionale a valere, ma le regole della giungla. Chi divide il mazzo avrà la parte migliore.  

Da qui, il passo successivo per eliminare gli ostacoli che si frappongono a decisioni prese nell’interesse nazionale – o nel presunto interesse nazionale – è naturalmente breve. Una dimostrazione l’ha data l’Ungheria che in occasione della visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato la fuoriuscita dallo statuto di Roma cioè dal Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, che contro Netanyahu aveva spiccato un mandato di cattura. In nome della sicurezza, un altro Paese, la Finlandia, si sta preparando a uscire dal Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine e a incamminarsi sulla stessa strada, ha sottolineato la Campagna italiana contro le mine, paiono riflettere anche  Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. Così, rischia di andare a rotoli un trattato che ad oggi raccoglie l’adesione dell’80% dei Paesi del mondo e che era stato il risultato di un lavoro collaborativo tra organizzazioni della società civile e governi. 

Una sfera di cristallo ci prospetterebbe un futuro incerto, diverso rispetto alla realtà degli ultimi ottant’anni. E tutto lascia pensare che a vincere saranno i più forti, con buona pace di chi è meno fortunato, come le vittime delle mine, che poi sono sostanzialmente civili (nel 90% dei casi) e bambini (nel 40% dei casi).

 

 

Questo editoriale è apparso sul numero di maggio 2025 di Africa e Affari, disponibile per l’acquisto in formato cartaceoin formato digitale.

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