di: Tommaso Meo | 18 Giugno 2025
Dopo alcuni gravi scandali che ne hanno minato la credibilità, il mercato dei crediti di carbonio resta oggi sospeso tra diffidenze e ambiziose prospettive, anche in Africa. A fine maggio, però, la Banca Africana di Sviluppo (AfDB) ha annunciato di essere al lavoro su un meccanismo destinato a regolamentare meglio lo scambio dei crediti, rendendoli più redditizi per i Paesi africani.
Si chiamerà Africa Carbon Support Facility e, secondo quanto comunicato dalla AfDB, dovrebbe aiutare i governi a sviluppare politiche chiare e coerenti in materia di carbon trading, incidendo in modo strutturale sull’infrastruttura del mercato. L’obiettivo è potenziare domanda e offerta, attrarre finanziamenti per il clima e sbloccare il grande potenziale ancora latente del continente.
Come funzionano i crediti di carbonio
I crediti di carbonio si generano attraverso progetti come la riforestazione o la costruzione di parchi eolici nei Paesi a basso reddito. Ogni tonnellata metrica di CO2 evitata o rimossa dall’atmosfera corrisponde a un credito. In Africa, la maggior parte dei crediti proviene da iniziative legate a uso del suolo, silvicoltura e agricoltura, e viene scambiata sui mercati volontari, dove non esistono obblighi legali vincolanti.
Questi mercati sono regolati da enti privati, il che li rende più vulnerabili a greenwashing, doppie contabilizzazioni e scarsa trasparenza. I mercati regolamentati, al contrario, sono istituiti da governi o organismi sovranazionali e impongono alle aziende limiti di emissione, con obbligo di acquistare crediti per compensare eventuali eccedenze, come accade nell’UE con l’EU ETS.
In questo contesto, l’Africa fatica a sfruttare appieno le opportunità: i crediti africani vengono spesso sottovalutati, con prezzi molto inferiori rispetto a quelli di altre regioni del mondo. Eppure il continente, che riceve appena l’1% dei finanziamenti climatici globali, avrebbe un urgente bisogno di risorse per affrontare le crescenti sfide ambientali.
Crediti di carbonio: una falsa soluzione?
Secondo il think tank Power Shift Africa, il problema non è solo nella cattiva gestione: sarebbe il sistema stesso dei carbon market a non funzionare. In un rapporto pubblicato a giugno l’organizzazione definisce i mercati del carbonio “una falsa soluzione” per i bisogni africani in termini di finanziamento climatico.
Invece di incentivare la conservazione degli ecosistemi e fornire risorse reali, questi meccanismi rischierebbero di rafforzare le disuguaglianze globali, ritardare la transizione energetica del continente e minare la sua sovranità climatica. Secondo le stime contenute nel rapporto, i crediti generati dai mercati volontari potrebbero addirittura coprire più emissioni di quante ne produca oggi l’intera Africa tra agricoltura e combustibili fossili.
Alla base della critica c’è anche la contestata equivalenza tra carbonio fossile ed emissioni biologiche. Secondo molti esperti, non si può compensare l’inquinamento industriale con la sola riforestazione, data l’instabilità e la non permanenza del carbonio biologico. Inoltre, questi mercati sarebbero esposti a frodi, crediti non verificabili e un forte squilibrio nella distribuzione dei benefici economici. Per Power Shift Africa, sarebbe più utile puntare su finanziamenti pubblici, cancellazione del debito e soluzioni comunitarie.
Un mercato da riformare, non da abbandonare
Non tutto però è da scartare. Secondo l’Outlook 2025 di Carbon Africa Network , il settore dei crediti di carbonio africani potrebbe crescere esponenzialmente, a patto di rafforzare la governance, garantire integrità ambientale, costruire capacità istituzionale e istituire registri trasparenti.
Gli esperti stimano che l’Africa possa arrivare a produrre centinaia di milioni di crediti all’anno, generando ricavi significativi e posti di lavoro, se sostenuta da un contesto normativo chiaro e da partnership globali. Ma avvertono: senza misure di salvaguardia, il rischio è che i benefici restino concentrati in poche mani, lasciando fuori le comunità locali.
La scommessa dell’Africa
Un attore chiave in questa fase è l’Africa Carbon Market Initiative (Acmi), lanciata nel 2022 alla COP27. L’iniziativa coinvolge vari Paesi, tra cui Kenya, Malawi, Gabon, Nigeria e Togo, con l’obiettivo di aumentare la produzione di crediti a 300 milioni l’anno entro il 2030 e 1,5 miliardi entro il 2050.
Secondo le stime di Acmi, il valore potenziale di questi crediti potrebbe raggiungere 6 miliardi di dollari annui entro fine decennio, generando fino a 30 milioni di posti di lavoro nel breve termine e oltre 110 milioni entro il 2050. Una visione ambiziosa che punta a trasformare il carbon market in un motore di sviluppo sostenibile offrendo supporto politico e strategico ai governi e coinvolgendo partner istituzionali.
L’AfDB propone un cambio di passo
Tra di loro c’è anche la AfDB, che un anno fa ha aderito ad Acmi e oggi propone una visione integrata e sistemica. L’idea è quella di costruire un ecosistema finanziario e normativo che colleghi politiche, capitali, tecnologia e impatti reali sulle comunità.
Attraverso l’Africa Carbon Support Facility, la banca immagina un futuro in cui i crediti africani vengano scambiati su borse locali a valori fino a dieci volte superiori rispetto a quelli dei mercati volontari attuali. I proventi, se ben redistribuiti, potrebbero avere un impatto concreto sulla crescita inclusiva e la resilienza climatica.
La sfida ora è doppia: da un lato, serve ripristinare la fiducia nel sistema, dall’altro costruire una cornice africana che metta al centro sovranità climatica, giustizia ambientale e benefici concreti per le comunità locali. Importante sarà agire tempestivamente perché l’Africa non può permettersi di restare ai margini della finanza verde globale.