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Anatomia della disinformazione in Nord Africa: narrative, attori e minacce in un nuovo studio

di: Redazione | 23 Ottobre 2025

La disinformazione sui social media è diventata uno strumento strategico chiave in Nord Africa, utilizzato per orientare l’opinione pubblica, catalizzare proteste e influenzare gli equilibri di potere. Lo rivela una ricerca, frutto della collaborazione tra Internationalia e WaterOnMars, presentata ieri a Roma come risultato di un bando del Ministero degli Affari Esteri. Lo studio offre un’“Anatomia della Disinformazione” in Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, svelando un’infosfera digitale complessa, interconnessa e profondamente modellata da forze interne ed esterne.

Basandosi sull’analisi di oltre 150.000 contenuti da Facebook, X e Telegram tra il 2023 e il 2025 (con dati retrospettivi fino al 2012), lo studio utilizza la piattaforma Metatron Analytics per mappare gli attori, le narrative e l’impatto della comunicazione. Emerge un quadro in cui la manipolazione informativa non è un evento isolato, ma un meccanismo strutturale, con piattaforme come Telegram usate per preparare contenuti, X per l’amplificazione rapida e Facebook per la sedimentazione nel pubblico. “La disinformazione” ha spiegato Michele Vollaro, che ha curato lo studio per Internationalia, “non si limita a falsificare singoli eventi o messaggi, ma costruisce vere e proprie realtà politiche“.

Gli attori in campo: governi, opposizioni e ingerenze esterne

L’infosfera nordafricana è animata da una variegata rete di attori. Internamente, le istituzioni insieme ai media statali o parastatali dominano la scena per volume di contenuti, agendo spesso come “megafoni” per diffondere narrative di stabilità e legittimità. Anche le autorità religiose, come al-Azhar in Egitto, svolgono un ruolo significativo come hub di “soft power” morale. A questi si contrappongono le opposizioni digitali e la diaspora: attivisti, giornalisti indipendenti, gruppi come Tunisians Against Corruption e figure come Patrick Zaki utilizzano piattaforme come X con grande efficacia, generando contenuti virali ad alto engagement per contestare il potere costituito.

L’infosfera digitale del Nord Africa deve però fare i conti anche con l’ingerenza di attori esterni, che sponsorizzano campagne di disinformazione per promuovere i propri interessi geopolitici. La Russia è identificata come l’attore più attivo, promuovendo narrative anti-occidentali e post-coloniali tramite Rt Arabic e Sputnik, con particolare influenza in Egitto, Libia e Algeria. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, attraverso media come Al Arabiya e Sky News Arabia, spingono per la “stabilità autoritaria”, influenzando Egitto, Libia e Marocco. Turchia e Qatar utilizzano religione e identità islamica, supportando movimenti vicini all’Islam politico tramite Al Jazeera e Trt Arabic, concentrandosi su Egitto, Libia e Tunisia.

La Cina, con un approccio più discreto tramite Cgtn Arabic e Xinhua Arabic, promuove la cooperazione economica in Egitto, Algeria e Marocco. L’Iran ha una presenza marginale ma simbolica, diffondendo messaggi anti-occidentali via Al-Alam Tv in Libia ed Egitto. Esistono infine attori religiosi transnazionali attivi in tutta la regione, particolarmente visibili in Tunisia e Algeria.

Un linguaggio condiviso di potere e protesta

Nonostante le diversità nazionali, lo studio rileva l’esistenza di otto narrative dominanti che circolano in tutta la regione, costituendo una sorta di linguaggio politico condiviso. La legittimazione istituzionale esalta l’autorità dello Stato e l’unità nazionale, fungendo da “collante regionale”. La narrativa su sicurezza e stabilità/terrorismo giustifica il controllo e l’ordine pubblico contro presunte minacce. La religione come coesione morale usa valori identitari islamici per rafforzare la legittimità.

La polarizzazione politica e delegittimazione alimenta la divisione “noi vs. loro”, screditando gli avversari. L’anti-occidentalismo, richiamando la memoria coloniale, accusa le potenze esterne di ingerenza e sfruttamento. La crisi economica e giustizia sociale, concentrandosi su inflazione e disoccupazione, agisce da potente “detonatore” del malcontento. La lotta alla corruzione è usata sia dai governi per legittimare azioni autoritarie sia dalle opposizioni per denunciare le élite. Anche la gestione dei flussi migratori viene strumentalizzata per evocare minacce o fare pressione sull’Europa.

Quando la disinformazione diventa virale

Lo studio documenta come queste dinamiche si traducano in episodi concreti. In Egitto, durante la crisi economica del 2022, un post virale di al-Mawqif al-Masri sul costo dei pomodori divenne slogan di protesta, mentre comunicati governativi su grandi opere venivano trasformati in satira su X con hashtag come #طرق_للديون (“strade per i debiti”). In Libia, le alluvioni di Derna nel 2023 furono terreno di scontro narrativo, con accuse incrociate di incapacità e corruzione supportate da immagini manipolate. L’accordo energetico tra Governo di unità nazionale libico e Turchia nel 2022 fu denunciato come “neocolonialismo” dai media filo-Lna (guidato dal generale Khalifa Haftar) e russi.

In Tunisia, un discorso del presidente Saïed sul “complotto interno” nel 2024 fu ridicolizzato dalle opposizioni con meme virali e l’hashtag #SaiedDictateur, mentre l’accordo con l’Fmi nel 2023 fu descritto online come una svendita della sovranità, nonostante i toni celebrativi del governo. In Algeria, slogan ufficiali come “Algeria vittoriosa e sovrana” sono regolarmente oggetto di satira da parte della diaspora, e hashtag come #VieChère (“Vita Cara”) esplosero nel 2022 per denunciare l’inflazione, surclassando la comunicazione governativa. In Marocco, il terremoto del 2023 vide un’ondata di disinformazione minare la fiducia nella risposta istituzionale, mentre la crisi diplomatica con la Spagna nel 2021 fu dominata online dalla diaspora con toni nazionalistici.

Sicurezza, fiducia e stabilità regionale

Secondo gli autori della ricerca, le conseguenze di queste campagne di disinformazione sono tangibili e gravi. La manipolazione informativa erode sistematicamente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nei media tradizionali e persino tra di loro, alimentando la polarizzazione sociale e politica. In un continente dove la maggioranza della popolazione è composta da giovani, il rischio è ancora più grave: spesso disillusi, si rivolgono ai social media come principale fonte di informazione e la disinformazione sfrutta la loro rabbia e il loro disorientamento, alimentando conflitti e instabilità.

Questo può avere effetti diretti sulla sicurezza e sull’ordine pubblico, innescando violenze, giustificando repressioni o addirittura favorendo colpi di Stato, come evidenziato in Libia dove la disinformazione è parte integrante del conflitto. A livello istituzionale e regionale, la costante delegittimazione indebolisce i governi e inasprisce le tensioni tra Paesi vicini, come nel caso della disputa tra Algeria e Marocco sul Sahara Occidentale. Inoltre, la capacità di attori esterni di modellare le percezioni rappresenta una minaccia diretta alla “sicurezza cognitiva” e alla sovranità informativa degli Stati nordafricani.

La stessa Italia vede la sua immagine e il suo ruolo regionale condizionati da narrative ostili, specialmente sui temi migratori (Lampedusa) ed energetici (Eni). Come ha detto Filippo Andrea Colombo, intervenuto durante la presentazione del rapporto per conto del Ministero degli Affari Esteri: “Il peso crescente della disinformazione ha un impatto su quello che riusciamo a fare nei nostri rapporti con questi Paesi, nonostante siamo spesso i principali donatori e partner economici di buona parte di essi, perché veniamo percepiti come occidentali e quindi predatori“.

Verso una resilienza condivisa

Per contrastare efficacemente la disinformazione, lo studio propone un approccio strategico che va oltre la semplice smentita delle notizie false. È necessario rafforzare il monitoraggio strategico dell’infosfera attraverso un Osservatorio permanente che analizzi narrative e campagne. Bisogna investire in diplomazia pubblica e comunicazione strategica, integrando questa dimensione in iniziative come il Piano Mattei per promuovere una narrazione positiva e trasparente. È cruciale sostenere la resilienza locale, finanziando media indipendenti, progetti di fact-checking e programmi di alfabetizzazione mediatica per i cittadini.

Occorre migliorare il coordinamento tra le istituzioni italiane ed europee per una risposta rapida e coerente. È fondamentale rafforzare i partenariati multilaterali con Unione Africana, Lega Araba e Onu per creare meccanismi regionali di allerta e scambio di informazioni. Serve inoltre promuovere l’innovazione tecnologica e la ricerca applicata, sostenendo lo sviluppo di strumenti basati sull’intelligenza artificiale per l’analisi dei contenuti e il rilevamento delle campagne coordinate.

Da questo punto di vista, lo studio, hanno assicurato gli autori, “non è un punto di arrivo, ma il primo passo di un percorso di ricerca necessario per decifrare la nuova frontiera della competizione geopolitica: quella che si combatte sul terreno cognitivo, dove chi riesce a orientare emozioni e percezioni conquista un vantaggio strategico più duraturo di qualsiasi iniziativa economica o militare”.

© Riproduzione riservata

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