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Africa: Nato Defense College, "fattore demografico sottovalutato"

Ambia Mohammed is left to look after her daughter Habiba's children after she died having reached the camp 6 days ago. Ifo section.Dadaab camp is the largest refugee camp in the world with people fleeing the civil war in Somalia. In recent months the rate of new arrivals has increased dramatically due to the added factor of drought that is affecting the region. It has now become severely overcrowded.

di: Redazione | 10 Maggio 2018

AFRICA – E’ mancato l’ospite d’onore – il presidente della Guinea Alpha Condé, trattenuto all’ultimo minuto a Conakry – ma non si può dire che la conferenza organizzata a Roma dalla Nato Foundation Defense College e dedicata all’Africa non abbia colto il segno.
Nel corso della seconda giornata dei lavori della conferenza (dal titolo ‘Africa in Action: Tailoring security to real needs and threats’), a tenere banco sono stati soprattutto i temi che animano le discussioni su quello che è lo sviluppo attuale del continente e sui trend che saranno decisivi per il futuro.
Uno di questi, ha detto in apertura dei lavori l’ex primo ministro libico Mahmoud Gebril, è sicuramente il fattore demografico che a suo parere è ancora oggi sottostimato: “Entro il 2050 l’Africa avrà un miliardo di abitanti in più e certo non sarà la Guardia costiera a poter fermare o modificare i flussi migratori. Dobbiamo affrontare la questione demografica secondo un punto di vista strategico, partendo dalla considerazione che l’Africa di oggi non è quella di un secolo fa”. Gebril ha concluso la sua parte introduttiva lasciando aperto un interrogativo: “Se non guardiamo ai rapporti tra Europa e Africa da un piano strategico, e se già oggi sappiamo che a parte la Germania nei prossimi anni non ci saranno Paesi europei tra le prime dieci economie globali, quale sarà il continente che uscirà sconfitto?”.
Che l’Africa sia terra d’azione e di competizione sia interna che internazionale lo ha sottolineato Mahari Taddele Maru dell’African Union High Advisory Group di Addis Abeba: “C’è la Cina, c’è un’Europa che sta cercando nuove strade e ci sono gli Stati Uniti che sembrano svegliarsi adesso, ma ci sono anche diversi altri Paesi con crescenti interessi in Africa”. Tutto questo, unito a fattori interni al continente, dà l’idea di un quadro in completa transizione e trasformazione, ha sottolineato Mahari, identificando nel partenariato lo strumento indispensabile per trovare una via di sviluppo ordinata per l’Africa.
Di fatto, ha detto a sua volta Neuma Grobbelaar, economista e ricercatrice del South African Institute of International Affairs di Johannesburg, “non ci può essere pace senza sviluppo e non ci può essere sviluppo senza pace”. Una massima di partenza (spiegata attraverso i dati di un Paese in particolare, l’Angola) che è stata fatta propria dall’Unione Africana fin dalla sua fondazione. Un fatto, quest’ultimo, considerato una svolta decisiva dalla Grobbelaar.
Per approfondire:

Un punto annuale su politica e economia: un bilancio del 2017 e le prospettive del 2018

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