di: Michele Vollaro | 26 Novembre 2025
“Ci siamo bruciati le dita con il debito pubblico, ma a volte è necessario per imparare che il fuoco scotta”: usa una metafora brutale Situmbeko Musokotwane, ministro delle Finanze dello Zambia, per descrivere la parabola del suo Paese, il primo in Africa a fare default nel 2020 e oggi tornato sui mercati con una strategia radicalmente diversa.
Intervenendo al dialogo ministeriale all’Africa investment forum (Aif) promosso dalla Banca africana di sviluppo (AfDB) e in corso da oggi a Rabat in Marocco, Musokotwane ha ammesso che l’indebitamento statale “non ha portato lo sviluppo sperato, ma solo problemi”. La soluzione adottata da Lusaka per uscire dalla crisi è stata drastica: stop agli investimenti pubblici diretti e apertura totale ai capitali privati. Una scelta che, unita a procedure di approvazione ridotte a un massimo di 45 giorni, ha permesso al Paese di attrarre 7 miliardi di dollari nel settore minerario in tre anni e di firmare contratti di partenariato pubblico-privato (ppp) per 2 miliardi sulle autostrade, portando l’agenzia S&P a migliorare il rating del Paese pochi giorni fa.
Se lo Zambia punta sulla deregolamentazione, il Marocco scommette sulla stabilità monetaria e lancia una sfida culturale agli investitori. La ministra dell’Economia Nadia Fettah Alaoui ha affrontato il nodo del rischio cambio, invitando i partner internazionali a smettere di negoziare esclusivamente in valuta forte. “L’Africa non è responsabile della volatilità globale delle valute”, ha sottolineato la ministra, spiegando che il Marocco ha scelto una liberalizzazione “prudente ma disciplinata” del dirham, sostenuta da riserve che coprono 5 mesi e mezzo di importazioni e da un’economia reale fortemente legata alle esportazioni e ben integrata nelle catene del valore globali.
Sulla sicurezza giuridica punta infine la Mauritania: il ministro dell’Economia Abdallah Souleymane Cheikh-Sidia ha presentato alla platea la nuova legge sui ppp adottata nel 2024, definendola “una delle più protettive al mondo”. Per superare i limiti di bilancio e la carenza di valuta estera, Cheikh-Sidia ha spiegato che Nouakchott ha voluto creare un quadro normativo in grado di offrire garanzie esplicite contro la nazionalizzazione e assicurare i pagamenti da parte dello Stato per l’intera quantità di output concordata, la cosiddette clausole “take or pay”, anche qualora l’infrastruttura non venisse utilizzata appieno.
© Riproduzione riservata




