di: Valentina Milani | 10 Novembre 2025
“Mettere a sistema i risultati dei progetti e creare sinergie reali tra gli attori del Mediterraneo e dell’Africa è essenziale per passare dalle strategie alle azioni concrete”. Con queste parole Serena Borgna, dell’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea (Apre), ha aperto a Rimini il panel Strategic Eu R&I Projects for the Green Transition in the Mediterranean and Africa, ospitato alla fiera Ecomondo svoltasi dal 4 al 7 novembre a Rimini. L’incontro ha riunito rappresentanti delle istituzioni europee, del mondo accademico e dell’imprenditoria per discutere come la cooperazione in ricerca e innovazione possa diventare il motore della transizione verde condivisa tra Europa, Mediterraneo e Africa.
A fargli eco Vincenzo Lo Russo, della Direzione generale Ricerca e Innovazione della Commissione europea, che ha presentato l’Agenda per l’Innovazione Ua-Ue come “un quadro multilaterale per una cooperazione equa e bidirezionale, orientata a impatti tangibili su società e mercato”. Le priorità – salute, transizione ecologica, innovazione tecnologica e rafforzamento delle capacità scientifiche – nascono, ha spiegato, da “un processo di co-creazione con i partner africani”, in cui Horizon Europe e le African Initiatives rappresentano gli strumenti principali. “La partecipazione africana è in crescita, con un aumento del 62% delle entità coinvolte rispetto a Horizon 2020”, ha aggiunto Lo Russo, evidenziando come il focus resti su agricoltura sostenibile, energia e sicurezza alimentare.
Dello stesso parere Alessandro Calabrò, anche lui della Direzione generale Ricerca e Innovazione, che ha illustrato la piattaforma R&I dell’Unione per il Mediterraneo e il nuovo Patto per il Mediterraneo, “una strategia che integra salute, clima e rinnovabili in un approccio d’azione condiviso”. Secondo Calabrò, il rafforzamento della cooperazione passa attraverso hub regionali, centri di diplomazia scientifica e una migliore integrazione dei bandi nel quadro di Horizon Europe. “Abbiamo già mobilitato circa 120 milioni di euro all’anno per favorire una partecipazione più ampia dei Paesi della sponda sud”, ha ricordato.
A rafforzare questa visione di cooperazione concreta è intervenuto Angelo Riccaboni, presidente della Fondazione Prima, che ha definito il programma “un laboratorio euromediterraneo in cui ricerca e impresa lavorano insieme per affrontare le sfide dell’agroalimentare e della sostenibilità”. Prima, ha ricordato, ha già finanziato 270 progetti per un budget complessivo vicino ai 700 milioni di euro, di cui il 30% destinato alla sponda sud e il 20% al settore privato. “La governance paritaria e la traiettoria Nexus acqua-energia-cibo-ecosistemi sono la chiave per trasferire i risultati alla società”, ha spiegato, sottolineando il valore della cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo come modello di innovazione condivisa.
L’attenzione al dialogo tra strategie europee e priorità italiane è stata ripresa da Michele Mazzola, del ministero dell’Università e della Ricerca, che ha collegato i lavori al Piano Mattei. “Il Piano è uno strumento per trasformare la cooperazione accademica in azioni condivise di sviluppo, basate su partenariati bilaterali e formazione transnazionale”, ha spiegato, sottolineando la necessità di “snellire i meccanismi e fare sistema per valorizzare il ruolo dell’Italia come ponte tra Europa e Africa”.
La seconda parte dell’incontro ha mostrato l’impatto concreto di questa cooperazione. “L’Africa deve poter guidare la propria transizione energetica, e noi vogliamo essere partner nel rafforzamento delle competenze locali”, ha dichiarato Natalia Kiselnikova, della Res4Africa Foundation, presentando progetti su modellazione energetica, batterie e microreti “swarm” in Ruanda e Tanzania. “Energia, acqua e mobilità elettrica sono i pilastri di un futuro condiviso”.
Sul tema della sicurezza alimentare, Maroun El Moujabber del Ciheam Bari ha richiamato l’importanza di piattaforme stabili e allineate di finanziamento congiunto tra Europa e Africa. “Troppi progetti restano orfani dopo la fine dei bandi. L’International Research Consortium coordinato da Fara in Ghana è un passo avanti verso una governance comune della ricerca”.
A sottolineare il ruolo del settore privato è stata Margherita Trestini, direttrice della Pmi Apodissi, attiva in Nigeria e Namibia. “La sostenibilità dei progetti dipende dalla capacità di creare ecosistemi di innovazione locali, in cui pubblico e privato lavorino insieme”, ha detto, ricordando le iniziative dell’azienda su economia circolare e formazione digitale. “Il nostro obiettivo è che i progetti non si esauriscano con i fondi europei, ma diventino radicati nel territorio”.
Un approccio complementare è arrivato dal professor Fausto Giunchiglia, dell’Università di Trento, che ha posto l’accento sul valore dei dati e delle lingue locali nell’era dell’intelligenza artificiale. “L’Ai cambierà la conoscenza in modo radicale, ma solo se sarà inclusiva e rispettosa delle diversità culturali. La nostra idea di ‘unity through diversity’ nasce proprio da questo: creare ecosistemi di dati locali per garantire sovranità e autonomia”.
Diversi interventi ma un messaggio comune: la cooperazione in ricerca e innovazione non è più solo un capitolo tecnico dei rapporti euro-africani, ma uno strumento politico e culturale per costruire relazioni di lungo periodo. In un contesto segnato dalla transizione verde e dalla ricerca di modelli di crescita sostenibile, i progetti europei – da Prima a Horizon Europe – diventano terreno di incontro tra conoscenza, diplomazia scientifica e sviluppo condiviso.
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