di: Michele Vollaro | 4 Novembre 2025
Una sala prestigiosa nel cuore di Roma, Palazzo Poli, le finestre aperte sull’ineguagliabile cornice offerta dalla fontana di Trevi. Ma quello che si è tenuto ieri non è un convegno accademico come tanti, bensì un vertice strategico a cui hanno preso parte 30 professionisti di alto livello del settore cultura provenienti da 26 Paesi del continente africano per partecipare al simposio conclusivo del progetto Whaps – World Heritage in Africa, Fostering practitioners for nomination: processes and strategies.
L’obiettivo ufficiale è la tutela del patrimonio, ma la posta in gioco, fin dai saluti istituzionali, è apparsa chiaramente politica: la diplomazia culturale italiana in azione. A promuovere questa iniziativa, un asse composto dalla Scuola Nazionale del Patrimonio, il braccio formativo del ministero della Cultura, guidata dal commissario straordinario Onofrio Cutaia, e dal partner tecnico globale Iccrom, il Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali. L’evento, che conclude un anno di alta formazione (iniziato a marzo in Zimbabwe e proseguito online), è diventato il palcoscenico per illustrare la nuova strategia italiana per l’Africa, dove il soft power culturale si lega a doppio filo agli obiettivi politici del governo. Un progetto, ha sottolineato Cutaia, in cui “tutte e due le parti hanno un beneficio”, e non solo i 30 professionisti arrivati a Roma.
Questo legame strategico è stato esplicitato e rivendicato da Fabio Massimo Ballerini, consigliere per l’Africa sub-sahariana della Presidenza del Consiglio, che ha inquadrato l’evento nella cornice del Piano Mattei. “Sebbene la cultura non fosse uno dei sei pilastri originari, abbiamo voluto inserirla”, ha detto Ballerini. “Vedere così tante nazioni africane qui è lo spirito del Piano”, ha aggiunto, sottolineando come l’iniziativa non sia un evento isolato, ma “solo il primo passo” di “un’attività che continuerà nei prossimi anni”.
Se il Piano Mattei fornisce il “cappello” politico, l’obiettivo diplomatico concreto è stato delineato da Alessandro De Pedys, Direttore generale per la Diplomazia culturale del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, che ha messo a fuoco l’azione italiana in ambito Unesco: “La lista dei Patrimonio mondiale è squilibrata, servono più siti africani”. Un obiettivo che, ha dichiarato, “è stata la nostra priorità” durante il mandato italiano nel Comitato del patrimonio mondiale (2021-2025). Il progetto Whaps diventa così lo strumento pratico per “condividere la nostra expertise” e raggiungere lo scopo. Un plauso all’iniziativa è arrivato anche dal Direttore del Patrimonio mondiale Unesco, Lazare Eloundou Assomo, che in un video messaggio ha definito il progetto “un passo essenziale” in linea con la strategia “Priority Africa” dell’organizzazione.
Ma qual è, concretamente, questa “expertise” che offre l’Italia? Non si tratta solo di know-how tecnico nel restauro, ma di un vero e proprio modello economico. È stato Clemente Contestabile, consigliere diplomatico del ministero della Cultura, a mettere sul tavolo l’asset strategico: “La cultura è sempre più un motore di crescita, lavoro e opportunità per i giovani”. Un modello che l’Italia ha testato su se stessa: “L’Italia non era un Paese ricco 70 anni fa, e la cultura è un elemento chiave della nostra economia. Ora vale il 30% del nostro Pil”. Da questa “responsabilità” sancita nella Costituzione, ha spiegato Contestabile, il Paese ha “sviluppato un’esperienza e una tecnologia significative” nella tutela. Saperi che, a partire dal G7 Cultura dello scorso anno, l’Italia ha deciso di “condividere” per “dare all’Africa ciò che merita: avere più siti culturali e più patrimonio visibili”.
Una proposta di partnership accolta con favore, ma anche con estrema chiarezza, dai partner africani. Munyaradzi Manyanga, preside della Robert Mugabe School of Heritage presso la Great Zimbabwe University di Masvingo, ha infatti definito i termini di questa nuova cooperazione. Manyanga ha lanciato un appello a superare la vecchia “percezione di un’Africa che manca di esperti” o che “ha bisogno di elemosina”. Al contrario, ha sottolineato, l’Africa “ha a sua volta qualcosa da offrire”, come “modi tradizionali di interpretazione” che richiedono un approccio “decolonizzato” e basato sul “rispetto”. La richiesta è concreta: il capacity building non deve solo formare “esperti”, ma deve investire in “infrastrutture” e “rafforzare le organizzazioni” per evitare la “frustrazione” di professionisti formati ma privi di mezzi.
L’obiettivo finale dell’operazione italiana, dunque, va oltre i singoli dossier Unesco. Come sottolineato dai referenti del progetto, il vero asset strategico che si sta costruendo è un network pan-africano, una “comunità coesa” di futuri leader del patrimonio culturale. È questo il capitale umano su cui l’Italia intende investire. Nelle parole di Clemente Contestabile, la speranza è “costruire una rete di professionisti della tutela… e continuare il dialogo ben oltre questo programma”. Una visione che si salda perfettamente con la promessa politica di Fabio Massimo Ballerini: un’attività destinata a “continuare nei prossimi anni”, trasformando i 30 professionisti di oggi nei “catalizzatori” e nei partner chiave della diplomazia italiana in Africa domani.
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