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Agoa, l’Africa nel limbo in attesa di una proroga

di: Tommaso Meo | 7 Ottobre 2025

Non è ancora esclusa una proroga, ma la scadenza il 30 settembre dell’African Growth and Opportunity Act (Agoa) ha già gettato in allarme molti paesi del continente, preoccupati di dover fare a meno del vantaggioso accordo commerciale con gli Stati Uniti nel mezzo di una situazione internazionale già molto incerta.

L’Agoa è stato approvato per la prima volta nel 2000 per garantire l’accesso esente da dazi al mercato statunitense per oltre 1.800 prodotti provenienti da 32 Paesi dell’Africa subsahariana, di cui 21 beneficiano anche di trattamenti speciali per tessili e abbigliamento.

Nei piani della Casa Bianca, una possibile proroga dell’iniziativa commerciale – di cui si ha qualche conferma – si collegherebbe al disegno di legge sui finanziamenti provvisori che i repubblicani stanno spingendo per evitare lo shutdown del governo federale americano.

Un programma sotto pressione ma ancora strategico

L’Agoa sembra essere caro a molti e, nelle ultime settimane, i governi e gli investitori africani hanno fatto pressioni per ottenere una proroga di uno o due anni. Nonostante nei decenni successivi il commercio tra Africa e Usa sia diminuito – in parte a causa dell’aumento degli scambi commerciali con la Cina – al programma è riconosciuto il merito di aver sostenuto centinaia di migliaia di posti di lavoro. Nel 2023 le importazioni statunitensi nell’ambito dell’Agoa hanno sfiorato i 10 miliardi di dollari. Il programma ha anche contribuito a rafforzare la competitività africana, attrarre investimenti diretti statunitensi e rendere più resilienti le catene di approvvigionamento.

L’impatto dell’iniziativa è stato già attenuato dai dazi bilaterali introdotti dall’amministrazione di Donald Trump ad agosto nei confronti di molte nazioni del continente. Il Centro per il Commercio Internazionale (Itc) stima che le misure tariffarie attuate nell’ultimo anno possano ridurre le esportazioni future dei Paesi beneficiari Agoa di circa l’8% entro il 2029, con impatti particolarmente forti nei settori dell’abbigliamento, pelle e calzature.

Lo scenario senza Agoa: dazi triplicati e posti di lavoro a rischio

Senza il rinnovo dell’Agoa, i paesi africani perderebbero il trattamento preferenziale e subirebbero dazi ben più elevati, che si sommerebbero alle nuove tariffe settoriali introdotte da Washington nel 2025. Secondo alcune stime, la scadenza potrebbe avere un impatto su oltre un milione di posti di lavoro in tutto il continente.

Gli effetti sarebbero pesanti soprattutto nei settori più protetti come tessile e abbigliamento. In Kenya, ad esempio, secondo l’Unctad, la tariffa media ponderata per le esportazioni verso gli Usa quasi triplicherebbe, passando dal 10% al 28%. Il Paese potrebbe registrare fino a 65.000 perdite di posti di lavoro nei settori tessile e frutticolo, secondo quanto riportato dal Business Daily.

Per questi motivi il presidente keniano William Ruto ha dichiarato nei giorni scorsi che spera di concludere un accordo commerciale con gli Stati Uniti entro la fine del 2025 e di ottenere una proroga dell’Agoa di almeno altri cinque anni. Secondo Ruto l’Agoa “offre sia all’Africa che agli Stati Uniti la migliore opportunità di espandere e approfondire gli scambi commerciali”.

Sudafrica e Lesotho: settori strategici a rischio

Poco prima della scadenza, anche il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha sollecitato gli Stati Uniti a rinnovare l’accordo commerciale che in Sudafrica “ha sostenuto posti di lavoro negli stabilimenti di assemblaggio di automobili, nelle aziende agricole e nei centri di produzione ad alta tecnologia”. La sua scadenza, ha spiegato Ramaphosa, comprometterebbe tali progressi. Le esportazioni sudafricane di automobili verso gli Stati Uniti sono diminuite dell’85% a maggio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, dopo che Trump ha imposto dazi del 30% sul Paese e del 25% sulle importazioni di veicoli a livello globale.

In Lesotho, tra i paesi più colpiti dai nuovi dazi statunitensi, l’export rischia di affrontare dazi fino al 15%, con almeno 40.000 posti di lavoro a rischio se l’Agoa non venisse rinnovato. La maggior parte delle esportazioni del Lesotho riguarda il settore tessile ed è destinata agli Stati Uniti (60%), come la produzione dei jeans Levi’s. In generale, gli analisti avvertono che senza Agoa la competitività africana sul mercato statunitense potrebbe erodersi rapidamente, in un momento in cui la concorrenza per sbocchi alternativi si fa più serrata a livello globale.

La Cina accelera mentre Washington tentenna

Proprio mentre i dazi Usa sconvolgevano il quadro dell’Agoa, la Cina ha abolito le tasse sull’import da 53 Paesi africani e consentito l’importazione di prodotti agricoli provenienti da Etiopia, Congo, Gambia e Malawi. “Le economie cinese e africana sono altamente complementari: le risorse minerarie e agricole dell’Africa soddisfano il fabbisogno di materie prime della Cina, mentre i manufatti e le tecnologie infrastrutturali cinesi sostengono lo sviluppo autonomo dell’Africa” ha commentato l’agenzia Xinhua.

Secondo la stampa cinese, anche a fronte delle tariffe aggiuntive imposte dagli Stati Uniti, le importazioni cinesi dall’Africa hanno continuato a crescere, “fornendo un sostegno fondamentale alle esportazioni africane”. Il quadro, in realtà, rimane molto sbilanciato, con la Cina che continua ad avere un importante surplus commerciale con l’Africa, esportando molte più merci di quante ne importi dal continente.

Alternative possibili e attese

Una risposta possibile per l’Africa potrebbe essere l’accelerazione dell’attuazione dell’Area di libero scambio continentale africana (AfCFTA), ma la transizione richiederà tempo e risorse ingenti. Al momento il continente si trova in un limbo ed è obbligato ad attendere quanto succede a Washington.

Oltre alle voci che circolano su una possibile proroga dell’Agoa, qualche reale motivo di ottimismo c’è: il mese scorso la Camera di commercio degli Stati Uniti ha inviato una lettera al Congresso sostenendo che il rinnovo dell’Agoa contribuirebbe a “deconcentrare e diversificare le catene di approvvigionamento lontano dalla Cina”. Un argomento che, nell’attuale contesto di rivalità strategica tra Washington e Pechino, potrebbe rivelarsi decisivo per la sopravvivenza del programma.

 

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