di: Marco Simoncelli | 11 Settembre 2025
(dal nostro corrispondente ad Addis Abeba) – Meno slogan, più strategia. E una voce sola per avvertire il mondo: l’Africa è pronta a guidare la transizione verde, ma non più a qualsiasi condizione. Questo il messaggio centrale emerso dalla seconda edizione dell’Africa Climate Summit (ACS2), conclusasi ieri ad Addis Abeba. Riuniti nella capitale etiope, leader e negoziatori di oltre 50 Paesi hanno definito una posizione comune e pragmatica da portare alla COP30 di Belém, con l’obiettivo di trasformare le promesse in finanziamenti reali e accessibili.
L’atmosfera del Summit è stata segnata da toni forti e appelli diretti. Mohamed Ali Youssouf, presidente dell’Unione Africana, ha richiamato l’enorme divario tra bisogni e risorse: “Un trilione e trecento miliardi di dollari è la cifra necessaria ogni anno per finanziare i piani di adattamento al cambiamento climatico in Africa. Ma quello che viene proposto al continente sono solo 300 miliardi di dollari. È lontano dall’essere sufficiente“. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha ribadito la volontà di trasformare l’Africa in un attore protagonista: “Non siamo qui per negoziare la nostra sopravvivenza, ma per costruire la futura economia climatica mondiale”. Un messaggio raccolto anche dal presidente di COP30, André Corrêa do Lago, che ha sottolineato come la sola chance per ottenere qualcosa è andare in Brasile uniti: “Quando l’Africa parla con una sola voce, il mondo deve ascoltare. Il contributo del continente al riscaldamento globale è minimo, ma paga il prezzo più alto: questa è la massima espressione dell’ingiustizia climatica e bisogna agire”.

L’Africa contribuisce a meno del 4% delle emissioni globali di gas serra, ma subisce già in pieno gli effetti della crisi climatica. Ogni anno, i Paesi africani perdono tra il 2 e il 5% del loro prodotto interno lordo (pil) a causa di catastrofi climatiche sempre più frequenti e devastanti. Entro il 2030, fino a 118 milioni di persone tra le più povere del continente potrebbero essere colpite da siccità estreme, inondazioni e ondate di calore senza precedenti. Secondo il Programma delle Nazione Unite per l’ambiente (Unep), l’Africa riceve solo il 12% dei fondi necessari per l’adattamento, pari a circa 15 miliardi di dollari l’anno, contro un fabbisogno stimato di oltre 70 miliardi.
Un nuovo rapporto presentato durante il vertice dalla Global center on adaptation (Gca) ha confermato la gravità della situazione: nel solo 2023, all’Africa sono stati destinati appena 15 miliardi di dollari per l’adattamento, a fronte di un bisogno minimo di 70 miliardi all’anno. Se questo divario non verrà colmato con urgenza, i costi futuri per il continente rischiano di esplodere, arrivando a cancellare fino a un quinto del pil africano entro il 2050.
Il continente detiene il 60% del potenziale solare mondiale e quasi il 40% di quello globale per le energie rinnovabili, oltre a riserve strategiche di minerali fondamentali per la transizione ecologica, come litio, cobalto e terre rare. Nonostante questa ricchezza, l’Africa riceve appena il 2% degli investimenti verdi internazionali, ostacolata da tassi di interesse troppo elevati e dal peso schiacciante del debito estero. Per rispettare i propri impegni climatici tra il 2020 e il 2030, i Paesi africani avrebbero bisogno di circa 2.800 miliardi di dollari, di cui 579 miliardi destinati solo all’adattamento. Attualmente, però, il continente riceve appena il 3-4% dei flussi finanziari climatici globali, per lo più sotto forma di prestiti che aggravano l’indebitamento. La dichiarazione finale di Addis Abeba è attesa per chiedere erogazioni più rapide, costi di transazione ridotti e strumenti finanziari che mettano al centro donne, giovani e bambini, i più vulnerabili agli impatti climatici.
In questo contesto, Carlos Lopes, presidente dell’African Climate Foundation, ha sottolineato la necessità di riconoscere il ‘credito di carbonio storico’ dell’Africa, legandolo al debito finanziario accumulato nel tempo: “L’Africa possiede un credito di carbonio che si è accumulato nei secoli. Questo deve essere messo in relazione con il nostro debito finanziario, perché quel debito esiste proprio perché non abbiamo potuto svilupparci come hanno fatto altri Paesi”. Secondo Lopes, a Belém l’Africa dovrà andare oltre la logica della semplice compensazione: “Alla COP30 dobbiamo superare la fase della compensazione e spingere per regole internazionali che abbassino il costo del capitale e creino le condizioni per espandere davvero l’azione climatica”.
Sulla stessa linea, Ibrahima Cheikh Diong, direttore esecutivo del nuovo Loss and Damage Fund, in un panel ha ribadito che servono meno promesse e più risorse concrete: “L’Africa deve arrivare alla COP30 con un messaggio chiaro: le promesse non bastano, devono trasformarsi in finanziamenti reali e accessibili, che rispondano ai bisogni urgenti dei nostri Paesi”. Ha inoltre avvertito contro il rischio di fondi annunciati ma inaccessibili: “Non c’è niente di peggio che annunciare miliardi mentre chi ne ha bisogno non riesce a ricevere neanche un dollaro. Il finanziamento deve essere disponibile, accessibile e sostenibile”.

Ma l’ACS2 è stato molto più di una discussione tecnica: è stata una vera e propria dichiarazione d’intenti. I leader africani hanno voluto mostrare il potenziale del continente come potenza mondiale delle energie pulite, centro di innovazione e motore di soluzioni globali, a condizione che la comunità internazionale si impegni a garantire finanziamenti equi e partnership reali. L’obiettivo è far emergere una posizione unitaria, un messaggio chiaro in vista del prossimo grande appuntamento climatico mondiale. Tutti i partecipanti hanno detto ad Africa e Affari che l’Africa è pronta persino a “guidare la transizione”, ma ha bisogno degli strumenti per farlo.
La prima edizione dell’Africa Climate Summit, che si è svolta a Nairobi nel 2023, si era chiusa con la Nairobi Declaration, un documento ambizioso che proponeva strumenti innovativi come una tassa globale sui combustibili fossili, la riforma radicale delle banche multilaterali e massicci investimenti nelle energie rinnovabili. Tuttavia, molte di queste idee non hanno trovato spazio nei negoziati successivi, lasciando un senso di frustrazione. Con ACS2, l’Africa ha scelto un approccio più pragmatico: meno slogan, più strategia concreta. L’obiettivo è arrivare a COP30 con richieste chiare, scadenze precise e strumenti operativi, evitando che la dichiarazione finale resti solo sulla carta.
A Belém, i negoziatori africani – guidati dal Gruppo africano di negoziatori (Agn) – porteranno avanti tre grandi priorità. La prima riguarda la finanza climatica: trasformare la promessa di 300 miliardi di dollari in meccanismi di finanziamento certi, stabili e accessibili, includendo fondi dedicati al Loss & Damage, il sostegno per i Paesi che subiscono danni irreversibili dalla crisi climatica. La seconda priorità è l’adattamento, con l’approvazione di indicatori misurabili per l’Obiettivo globale sull’adattamento (Gga), che permettano di monitorare i progressi. Infine, l’Africa punta a definire regole chiare per i mercati del carbonio, evitando che diventino una nuova forma di sfruttamento delle comunità locali e trasformandoli in strumenti di sviluppo sostenibile per il continente.
Come ha spiegato ieri sera in un media briefing conclusivo, Moses Vilakati, commissario dell’Unione Africana per l’Agricoltura e l’Ambiente: “L’Africa ha bisogno di oltre 3 trilioni di dollari entro il 2030 per affrontare la crisi climatica, ma ha ricevuto solo 30 miliardi negli ultimi anni. Non possiamo continuare a parlare di prestiti: servono finanziamenti equi, concessionali e facilmente accessibili“.
Stando alla bozza della Addis Ababa Declaration ottenuta da Africa e Affari, la cui versione definitiva sarà pubblicata nei prossimi giorni, il testo prevede la creazione di un Africa Climate Innovation Compact con l’obiettivo di mobilitare 50 miliardi di dollari l’anno per sviluppare 1.000 soluzioni climatiche entro il 2030, oltre a un’iniziativa congiunta tra istituzioni finanziarie africane e banche commerciali per generare 100 miliardi di dollari di investimenti nelle energie verdi.
Il documento riconosce inoltre che il continente avrà bisogno di oltre 3 trilioni di dollari entro il 2030 per rispettare i propri impegni climatici, a fronte dei soli 30 miliardi ricevuti tra il 2021 e il 2022, e chiede che i finanziamenti siano in gran parte sovvenzioni, non prestiti, accompagnati da una riforma delle banche multilaterali di sviluppo per ridurre i costi di capitale e aumentare la rappresentanza africana.
Sicuramente ci si aspetta un cambio di paradigma, emerso chiaramente nel corso di questo ACS2 in Etiopia durante i vari dibattiti: passare da un approccio basato sull’assistenza (climate aid) a uno centrato sugli investimenti (climate investment), rafforzando la leadership africana nella lotta globale al cambiamento climatico.
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