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Etiopia: il vino che non ti aspetti

di: Enrico Casale | 21 Agosto 2025

Non è famoso come quelli sudafricani o marocchini, eppure il vino etiope ha una grande storia alle spalle e un brillante futuro di fronte. Una storia che ha radici millenarie. Richard Pankhurst, il più famoso studioso dell’Etiopia, ha individuato riferimenti al vino nell’iscrizione della stele del re Ezana (IV secolo d.C.) e nelle incisioni poste alla base di uno degli obelischi di Axum (III secolo). Accanto a questa eredità, si sviluppava anche la tradizione del tej, vino di miele aromatizzato con gesho (rhamnus prinoides, arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae), usato da secoli nelle principali cerimonie.

La produzione di vino di uva è continuata nei secoli in alcune piccole zone del Paese e ha avuto una forte spinta con la colonizzazione italiana. Quando l’Italia fascista ha invaso e ha annesso l’Etiopia, la viticoltura si è sviluppata grazie a militari, coloni e missionari che hanno avviato coltivazioni di uva secondo tecniche europee, soprattutto negli altopiani, dove il clima era considerato più adatto. Le vigne italiane hanno posto le basi per un ulteriore sviluppo del comparto a partire dagli anni Cinquanta.

È il 1956 quando Mulugeta Tesfakiros e ras Mesfin Sileshi inaugurano la cantina Awash che, nei decenni successivi, è diventata la principale cantina etiope. L’Awash Winery oggi dispone di una tenuta di oltre 117 ettari a 1.200 metri d’altitudine. Acquistata nel 2013 dal gruppo Blue Nile, produce 10 milioni di bottiglie all’anno, quasi tutte destinate al consumo interno. Altro produttore di rilievo è la Castel Winery, costituita da una partnership tra il governo etiopico e il gruppo francese Castel, ha impiantato tra il 2007 e il 2009 una tenuta di 120 ettari vicino a Ziway, a 1.600 metri di altitudine. Clima (piogge medie di 650 mm, temperature attorno ai 25 °C), terreni sabbiosi e due raccolti annui rendono adatta alla viticoltura sia la Rift Valley centrale sia gli altipiani occidentali che godono di un clima mediterraneo.

Le aree coltivate includono 55 ettari di Syrah, 38 di Cabernet Sauvignon, 14 di Merlot, 12 di Chardonnay e 42 di Sangiovese (quest’ultimo piantato dal governo etiopico negli anni Ottanta). La produzione annua si aggira attorno a 1,2 milioni di bottiglie di Rift Valley Wine, con l’obiettivo di arrivare a 3 milioni. 

Il settore è quindi ancora contenuto, ma cresce con tassi a doppia cifra. La piattaforma di business intelligence Statista prevede che nel 2025 il valore del mercato etiope del vino rosso e bianco raggiungerà 7,92 milioni di dollari: 7,10 milioni dalle vendite sul mercato interno e 815.000 da quelle derivate dall’export, per un volume complessivo di circa 1,06 milioni di litri. Il tasso annuo di crescita previsto fino al 2030 supera il 10%. Anche lo spumante avanza: per il 2025 si stimano ricavi pari a 442.000 dollari, 83.000 litri venduti e una crescita annua intorno all’11%.

Il contesto regionale e continentale mostrano dimensioni ben maggiori e offrono quindi spazi di crescita all’industria vitivinicola etiope. In Africa orientale il mercato del vino supera infatti 460 milioni di dollari e 60 milioni di litri e, in tutto il continente i vini fermi generano 8,7 miliardi all’anno. Anche il mercato interno etiope mostra potenzialità di sviluppo. Il consumo cresce, soprattutto tra la classe media urbana, che associa il vino a status e convivialità. Birra e superalcolici non sono più predominanti. A favorire il settore interviene la politica statale, con incentivi locali alla produzione e supporto all’export.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il canale turistico e l’enoturismo potrebbero rappresentare leve decisive. In altri Paesi dell’Africa orientale, l’enogastronomia ha esercitato un ruolo di traino. Anche l’Etiopia, con il suo patrimonio culturale e paesaggistico, può puntare sul vino come elemento identitario e qualitativo.

Il risultato è un settore piccolo, ma in chiara espansione. L’Etiopia non ha numeri comparabili con Sudafrica o Marocco, ma può ritagliarsi un posizionamento distintivo, fondato su vini locali fortemente legati alla Rift Valley e alla sua storia millenaria, da valorizzare sul mercato interno e all’estero. Se le curve di crescita – e la risposta della produzione – si confermeranno, il vino non resterà più una curiosità, bensì un capitolo significativo del nuovo volto enogastronomico del Paese.

© Riproduzione riservata

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