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Oro, terre arabili e porti: la partita emiratina in Sudan

di: Valentina Milani | 4 Agosto 2025

Nel complesso scacchiere della guerra sudanese, gli Emirati Arabi Uniti si muovono con una strategia che combina interessi economici, ambizioni geopolitiche e quello che parrebbe un attento uso della guerra per procura. Lo conferma ad Africa e Affari Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali (CeSI), il quale spiega che dietro al sostegno alle Forze di supporto rapido (Rsf), il gruppo paramilitare guidato da Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”, si cela un progetto strutturato che punta a consolidare la proiezione emiratina nel Corno d’Africa e a garantirsi un accesso preferenziale a risorse strategiche come oro e porti sul Mar Rosso.

Una legittimità politica per le milizie

Secondo Di Liddo, anche la recentissima svolta politica che ha portato le Rsf a proclamare un governo parallelo sarebbe frutto di un suggerimento da parte degli Emirati Arabi Uniti. Il messaggio, rivolto con ogni probabilità direttamente a Dagalo, sarebbe stato chiaro: per ottenere maggiore legittimità e rafforzare i rapporti con partner esterni, è necessario compiere un salto politico, passando da leader di una milizia a capo di un’entità governativa, per quanto non riconosciuta.

Il conflitto sudanese, iniziato nel 2023, ruota infatti attorno a due principali centri di potere: le Forze armate sudanesi (Saf), guidate da Abdel Fattah al-Burhan, e le Rsf. Entrambi i gruppi lottano per il controllo dello Stato e delle sue risorse. E qui emergono con chiarezza gli interessi emiratini, che spaziano dall’oro all’agricoltura, dalle infrastrutture portuali al sistema bancario. “Gli Emirati – spiega Di Liddo – sono un Paese ricco ma piccolo, come tutte le monarchie del Golfo hanno bisogno di spazi e popolazione. Avere una sponda con le milizie sudanesi garantisce loro uomini, network e una proiezione nel Corno d’Africa”. Ma soprattutto, c’è la questione dell’oro. “Gli Emirati e i russi sono i principali collettori dell’oro sudanese contrabbandato. Si stima che si parli di 19 miliardi di dollari l’anno. Quest’oro diventa emiratino e viene usato per alimentare i fondi sovrani, per operare sui mercati internazionali e finanziare l’espansione emiratina in Africa”.

La strategia dei “moderni Fenici”

L’obiettivo finale, osserva l’analista, è la costruzione di una rete commerciale integrata: “Gli Emirati si comportano come dei moderni Fenici. Si muovono con abilità commerciale, hanno capacità militari mirate e tanto capitale. Vogliono creare una rete che colleghi il Golfo, l’Oceano Indiano e il Mediterraneo, mettendo in sicurezza i porti chiave. In un’Africa orientale con infrastrutture carenti nell’entroterra, la priorità è controllare la costa e costruire avamposti avanzati, magari con zone di libero scambio, un po’ sul modello di Gibuti”.

Lo studioso non ha quindi dubbi nel confermare quanto ben riassunto nell’articolo intitolato “Cinque motivi per cui gli Emirati Arabi Uniti sono ossessionati dal Sudan” uscito sul quotidiano Al-Akhbar e basato su diverse inchieste e rapporti, tra cui uno pubblicato dall’Institut français de recherche en Afrique (Gulf States: A Paradoxical Economic Lifeline for Sudan).

Come spiega l’autore dell’articolo, Mohammad Khansa, gli interessi degli Emirati Arabi Uniti in Sudan si articolano attorno a cinque direttrici principali. Oltre all’oro, che rappresenta la principale risorsa finanziaria delle Rsf, vi è il fronte agricolo: grandi aziende emiratine avevano già acquisito, prima del conflitto, decine di migliaia di ettari coltivabili nel nord del Paese, e gli ostacoli imposti da Khartoum a nuovi contratti avrebbero contribuito all’avvicinamento tra Abu Dhabi e la milizia di Dagalo.

Cruciale è poi appunto l’accesso alla costa del Mar Rosso: fallita la presa su Port Sudan, gli Emirati hanno avviato la costruzione di un nuovo porto – Abu Amama – collegato a una zona franca e a una dorsale stradale da 500 chilometri. Un ulteriore livello d’interesse riguarda la sfera finanziaria, con una forte presenza bancaria del Golfo, emiratina in primis, cresciuta durante il periodo delle sanzioni internazionali: alcune istituzioni risulterebbero direttamente legate alla famiglia Dagalo. Infine, il Sudan è oggi anche terreno di confronto tra Emirati e Arabia Saudita, con Abu Dhabi apertamente schierata con le Rsf e Riad vicina all’esercito regolare.

Uno scontro che ridisegna il Mar Rosso

In questa partita, infatti, anche l’Arabia Saudita riveste un ruolo di primo piano, ma su una traiettoria opposta a quella emiratina. Riad sostiene il governo ufficiale di Khartoum, guidato dalla giunta militare. Lo fa, in parte, per contenere l’influenza crescente degli Emirati. “I sauditi – spiega Di Liddo – vedono con fastidio l’ascesa emiratina e cercano di controbilanciare. Anche loro sono interessati alle risorse sudanesi: oro, ma soprattutto terra arabile. Tutti i Paesi del Golfo hanno nel fabbisogno alimentare una priorità strategica, e il Sudan rappresenta un serbatoio potenziale di milioni di ettari coltivabili“. In gioco non ci sono solo cereali, ma anche materie prime strategiche come l’olio di palma, utilizzabile sia a fini alimentari che energetici.

La rivalità tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si inserisce così in un contesto più ampio di ridefinizione delle influenze regionali, dove il Sudan diventa campo di prova e teatro di espansione per le monarchie del Golfo. Uno scontro geopolitico che rischia di alimentare un conflitto già devastante per milioni di civili, ridisegnando allo stesso tempo gli equilibri del Mar Rosso e del Corno d’Africa.

© Riproduzione riservata

Se vuoi saperne di più sulle ambizioni e gli interessi dei Paesi del Golfo in Africa, leggi il focus di Africa e Affari interamente dedicato alla questione.

 

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